Per ricordare Maradona scegliamo uno degli articoli più significativi pubblicat in questi giorni, quello di Fabrizio Bocca su suo blog a Repubblica.
In cuor nostro lo sapevamo da tempo, ma non volevamo confessarcelo. Diego era vivo, ma stava correndo verso la fine. Tutta la sua vita – sempre a 300 all’ora, incredibile, esaltante, assurda, vissuta tutta d’un fiato – è stata una lunga corsa verso la morte, ci ha giocato talmente tanto con la sua vita, l’ha logorata, l’ha talmente vissuta che quel giorno è arrivato molto, troppo presto: oggi, mercoledì 25 novembre. Il giorno in cui è morto il calcio. Non avrebbe potuto essere diversamente, purtroppo. Diego Armando Maradona ha fatto meraviglie col proprio corpo e la propria intelligenza, ma di quello stesso corpo ha abusato, indugiando pericolosamente con la droga e l’alcol. Diego ha sempre messo insieme gli estremi più lontani, il paradiso e l’inferno. Ma il paradiso lo ha regalato a tutti, al mondo intero e l’inferno lo ha riservato solo a se stesso. Per questo tutti gli hanno voluto bene, ammirato, venerato come un dio, una religione. Un dio buono, generoso, non arrogante, non superbo, uno che abbracciava i popoli.
Maradona è stato un dio pagano, un’icona del 900, un simbolo, un Che Guevara del pallone (lo aveva tatuato sul braccio), un proletario alla guida di una rivoluzione, il povero che riscatta la sua umilissima condizione e diventa un eroe dello sport. E non solo. Per Napoli Maradona è stato il riscatto, due scudetti e una Coppa Uefa che hanno risollevato la città da una condizione di subordinazione, spesso umiliazione, uno da mettere accanto a San Gennaro, Eduardo e Caruso. Non è esistito nessuno che sia stato più napoletano di Maradona a Napoli: una storia d’amore perfetta, totale, struggente. Come calciatore Diego non è stato la perfezione è stato molto di più. Perché Diego non è mai stato solo un insieme di qualità tecniche, di stop e dribbling, era un catalizzatore, uno spirito guerriero ora rabbioso ora divertito. Si è sempre detto che il Mondiale con l’Argentina lo vinse da solo, che non è vero, ma che la leggenda ha tramandato così. Il culmine è stata la famosa partita con l’Inghilterra: il più bel gol della storia e il più truffaldino della storia “la mano de Dios”.
Non un solo giorno della sua vita è stato vissuto nell’ombra. Quando lo intervistano da ragazzino dice: “giocherò per l’Argentina e vincerò il Mondiale“. La sua storia è viva, presente, toccante, ognuno ha un qualcosa, un ricordo legato agli anni straordinari di Maradona. Le sue partite, le sue storie sono riferimenti del tempo. Quei giorni a cavallo tra il giugno e il luglio 1984 li vivemmo con grande elettricità, ma anche allegria, felicità, esaltazione a Repubblica. Passavamo le notti attaccati al telefono a cercare ed aspettare notizie da Barcellona: arriva o non arriva? Era un’attesa che montava, Diego già allora era il mito, il non plus ultra, il calciatore per eccellenza. Fino a quando non salì le famose scale di un San Paolo gremito (5 luglio 1984), per una foto rimasta scolpita nella storia del football e degli anni 80.
Diego ha cambiato la storia sociale di Napoli, ha dato felicità ma soprattutto orgoglio agli scugnizzi che tutto sommato erano tanti ragazzini proprio come lui. Diego ha amato Napoli come nessuno, è stato protagonista di duelli eroici col Milan e la Juventus, attraverso i suoi murales che tappezzano i muri Diego sorveglia e protegge i quartieri spagnoli. Per l’Argentina è stato l’identificazione nazionale, un uomo del popolo, un fratello, uno di famiglia. Ne è stato il cuore, il corazon. Ma è il mondo intero ad averlo perso. Diego Maradona è stato qualcosa di unico, è stata una fortuna averlo potuto vedere dal vivo, guardarlo giocare, osservare l’effetto che faceva sulla gente, e sugli stadi stracolmi di passione per ammirarlo. Gli anni più belli che abbiamo mai vissuto.