Oggi si direbbe tuttocampista poliedrico, ma ai suoi tempi Gigi De Agostini era definito un eclettico tuttofare. Perchè poteva giocare terzino, mediano, mezzala. In realtà quello di terzino di spinta – o fluidificante, come si diceva all’epoca – era il suo ruolo naturale ma quando lo prese la Juve nell’87 quel posto era occupato.
(«Quando sono arrivato alla Juventus, la maglia numero tre era ben salda sulle spalle di Cabrini. Allora sono stato impiegato da mediano, dimostrando di poter coesistere con Antonio. Non mi piace che il pubblico mi identifichi solo nel giocatore che corre sulla fascia sinistra e piazzi precisi cross per la testa degli attaccanti»), cosa che non gli ha impedito di fare una carriera al top. Iniziata nel 1978 e chiusa diciassette anni dopo: 574 partite da professionista con le maglie di Udinese, Trento, Catanzaro, Verona, Juventus, Inter e Reggiana, compreso l’azzurro dell’Italia.
Da piccolo però era milanista sfegatato, come rivelò al Guerin Sportivo. «Avevo le vene rosse e le arterie nere. Mi chiamavano “Gigi Milan”. Ero pazzo di Gianni Rivera e quando lui smise, nel 1979, anche la passione per i colori rossoneri è scemata. Da lì non ho più tifato per nessuno». Per se stesso sì, però. A Catanzaro fa fatica («Lo seppi dalla televisione. L’Udinese acquistò Massimo Mauro e, nell’operazione finirono anche i cartellini di Trombetta e il mio. Ma Catanzaro era veramente lontana, non tornavo mai a casa»), torna a Udine (“E trovo un certo Zico. È il giocatore più forte che abbia mai visto. Tecnicamente divino, faceva tutto con una semplicità disarmante. Aveva gli occhi anche dietro la testa. Sapeva dove, come e quando darti la palla”), poi a Verona dove fa talmente bene che lo prende la Juve.
Peccato per lui che non fossero più gli anni d’oro dei bianconeri ma le sue soddisfazioni se le prese lo stesso. E con la Juventus indossò la n.10 che Platini aveva appena lascito libero: «Me la trovai addosso nella partita di Coppa Italia contro il Lecce il 23 agosto 1987.
Fu una decisione di mister Marchesi. Ed io non ebbi nessun problema a indossarla, oltretutto segnai anche il goal del 3–0. Io con Platini non c’entravo nulla. In campo il giocatore che avrebbe dovuto sostituire tatticamente Michel era Marino Magrin. A lui il mister dette l’otto per non appesantirlo ulteriormente. Fu una decisione intelligente. Io presi il dieci e fui schierato in mediana, visto che come terzino sinistro c’era ancora Antonio Cabrini». In bianconero diventa titolarissimo, ma c’è chi – come l’Avvocato – scherza sempre con lui: «Il giorno che mi fu consegnata la medaglia per le mie cento partite nella Juve, mi fa: “Mi aspetto da lei altre cento partite prima di giudicarla”».
Poi sottolinea un ricordo: “Ho anche un record ignorato da molti; nelle stagioni 1987–’88 e 1989–’90, con quasi settanta partite, sono stato il giocatore italiano che ha disputato più incontri ufficiali. Inoltre, sono arrivato ad un passo dallo juventino Magni, il solo che abbia portato sulle spalle tutti i numeri di maglia. Così, in occasione dell’ultima partita della mia carriera, ho chiesto e ottenuto dall’allenatore, di poter indossare la maglia numero cinque, l’unica che, a parte quella da portiere, mi mancava ancora”. Dopo 5 anni la Juve però lo molla. Nel 1992 c’è l’Inter. «Seppi del trasferimento dai giornali. Avrei rifiutato, se ci sono andato è solo perché c’era Osvaldo Bagnoli. All’Inter pensano che quelli che arrivano dalla Juve siano oramai a fine serie. Non ho buoni ricordi di quella stagione, una volta sono stato pure espulso per scambio di persona, al posto di Tramezzani».
Va alla Reggiana e vive una seconda giovinezza poi appende le scarpette al chiodo e ricorda: «Il chiodo me lo regalò Tricella quando smisi nel 1995. Le mie Adidas le ha appese mia moglie pochissimo tempo fa, dopo l’impianto di un pacemaker cardiaco. È stata una cosa improvvisa. Dal ritiro ho sempre continuato a giocare, ultimamente anche con le “Legends” della Juventus, Un medico, il dottor Milan mi ha scoperto il problema. E i suoi colleghi Rebellato e Proclamar mi hanno operato. Li ringrazio, ovviamente, anche se questo significa stop definitivo con le partite».
Ora De Agostini ha una scuola calcio a Tricesimo, dov’è nato, e segue il figlio Michele terzino sinistro del Pordenone