Tokyo, National Stadium, 26 novembre 1996. Minuto 81 di Juventus-River Plate, sfida che mette in palio l’edizione numero 35 della Coppa Intercontinentale, il trofeo dei due mondi, Europa contro Sudamerica. Alessandro Del Piero addomestica sul secondo palo un pallone calciato dalla bandierina da Di Livio e lo spara sotto l’incrocio più lontano di Bonano, portiere argentino.
È la rete dell’1-0 che regalerà alla Juve il titolo di campione del mondo undici anni dopo la prima volta, quando in campo c’erano Platini, Laudrup, Tacconi.
Festa in campo, festa in panchina. Marcello Lippi esulta in maniera contenuta, pensando più che altro a organizzare gli ultimi dieci minuti di prevedibili assalti argentini.
Le telecamere lo inquadrano mentre se ne torna in panchina, apparentemente senza emozioni da mostrare. Poco male, perché alle sue spalle c’è qualcuno, una delle riserve di quella Juve, che fa festa anche per lui. Capelli lunghi e sorriso stampato in faccia, salta come un grillo e abbraccia Rampulla.
Quasi 25 anni dopo, quando le televisioni ripescano dall’archivio quella gara e la ritrasmettono in tempi di quarantena, qualcuno non riesce a ricordare: ma chi è quel tizio? Raffaele Ametrano, ecco chi è. Il campione del mondo Raffaele Ametrano. Di lui ci parla Stefano Silvestri nell’articolo “Raffaele Ametrano e la Juventus: quattro presenze e un’Intercontinentale”.
Se trovate strano l’abbinamento, non preoccupatevi: strano lo è davvero. Anche perché la permanenza di Ametrano alla Juventus è una delle più rapide che la storia bianconera ricordi. Una toccata e fuga insolita per gli standard della Juve. Arrivo a luglio, durante il mercato estivo, e addio a dicembre, in quella che fino alla metà degli anni Novanta era la finestra autunnale di riparazione. Una manciata di presenze, forse la sensazione di essere fuori posto, poi la partenza in direzione Verona. E in mezzo quell’indimenticabile serata (giapponese), o mattinata (italiana), che lo inserisce nell’elenco di chi ha conquistato almeno un trofeo con il club più titolato d’Italia.
“A Tokyo ero in panchina – raccontava all’epoca Ametrano in un’intervista alla Gazzetta dello Sport – un po’ quella coppa me la sento mia. Un pochino. Ce ne hanno regalato un modellino per uno. La tengo di là, nella sua custodia. Il momento più emozionante? La premiazione sul campo, le lacrime di tanti giocatori. Quella foto sì, la tengo in mostra: perché io sono vicino a Ferrara. Ciro è un grande. Ci sentiamo spesso. Perché lo chiamo io… Lui deve avere perso il mio numero”.
Ametrano alla Juventus ci arriva nell’estate del 1996, quella post sbornia da trionfo in Champions League. Fine di un ciclo: Vialli e Ravanelli se ne vanno in Premier League, al loro posto arrivano i giovani Vieri e Amoruso. Più Raffaele.
Che non è un illustre sconosciuto, tutt’altro: nelle settimane precedenti ha conquistato da protagonista l’Europeo di categoria con l’Italia Under 21 di Cesare Maldini, il terzo di fila di quell’irripetibile generazione di fenomeni. Anche nella finale di Barcellona contro la Spagna padrona di casa c’è il suo zampino, nel bene e nel male: è lui a battere la punizione che, forse sfiorata e forse no da Totti, induce Idiakez all’autorete del vantaggio azzurro, e nei supplementari è sempre lui a farsi cacciare, lasciando la squadra in nove uomini.
Quando diventa campione d’Europa, Ametrano è un giocatore dell’Udinese. Una classica aletta destra di quelle che ora non esistono quasi più, tutto scatti verso il fondo e ripiegamenti per dare una mano al terzino. Cresciuto nelle giovanili del Napoli, è partito dalla C con l’Ischia e poi è arrivato in Friuli in B, conquistando immediatamente la promozione. E tenendosi stretto il posto pure nella massima serie con Alberto Zaccheroni. Nel proprio progetto di ringiovanimento della rosa, un po’ a sorpresa, la Juventus inserisce anche lui. Le trattative con l’Udinese vanno a buon fine e a fine luglio l’affare si fa davvero. Ametrano diventa ufficialmente un giocatore della Juve.
“Stavo dormendo, mi svegliarono per dirmi che la cosa poteva andare in porto. Io non me lo aspettavo, tanto che stavo prendendo una casa nuova a Udine. Maldini disse: ‘Non c’è più religione…'”.
Il problema è solo uno, ma è bello grosso: sgomitare in quella Juve, che starà pure vivendo un periodo di teorica transizione ma rimane una squadra di campioni, è un’impresa troppo ardua per un ventitreenne che fino a un paio d’anni prima sgroppava in C. E la realtà spazza via qualsiasi sogno: per Ametrano lo spazio non c’è. In quello scorcio di 1996-’97 Lippi lo schiera solo nel doppio turno di Coppa Italia contro la Nocerina, quello in cui i Molossi prima fermano i campioni d’Europa in casa e poi rischiano addirittura di espugnare il Delle Alpi, e nei secondi finali del match vinto per 2-0 contro l’Inter. Tre presenze in tutto. Stop.
All’inizio di dicembre, pochi giorni dopo Tokyo, Ametrano lascia la Juventus: il neopromosso Verona lo chiede e lo ottiene in prestito nel tentativo di raddrizzare una stagione iniziata con il piede sbagliato. Dalla gioia giapponese alla lotta per non retrocedere. Senza rimpianti, senza accuse.
“Io alla Juve ho avuto un rapporto eccezionale con tutti, davvero. Lippi mi ha anche parlato, ogni tanto. Ma t’inserisci in una squadra solo giocando spesso: solo così trovi la posizione, le misure del campo. In allenamento è diverso, anche perché ogni allenamento alla Juve è la preparazione di un grosso impegno”.
Che il destino quando ci si mette sappia produrre qualche bizzarria, è testimoniato da quanto accade a metà dicembre. Una settimana prima Ametrano ha esordito da titolare col Verona nella sua Napoli, dove dieci anni prima faceva il raccattapalle a Maradona e compagni, perdendo per 1-0 nel finale. E il 15 è di scena con l’Hellas proprio al Delle Alpi, dove accade l’impensabile: doppietta di Maniero e 2-0 per i veneti al 44′ del primo tempo. Poi Porrini accorcia ed è proprio Ametrano, con un fallo in area sull’ex compagno Vieri, a mandare sul dischetto Del Piero, che completa la rimonta prima di trovare anche il definitivo 3-2 con un capolavoro dei suoi.
Il Verona chiude al penultimo posto e torna in B dopo 12 mesi. Ametrano, invece, torna a Torino per fine prestito. Lippi lo porta con sé per il precampionato, gli fa fare il secondo tempo della storica sfida di Coppa Italia pareggiata in casa del Brescello, ma la permanenza è esclusa. E difatti, quando all’orizzonte si staglia la sagoma di un’altra neopromossa come l’Empoli di Luciano Spalletti, la Juve dice sì e il legame si spezza di nuovo. Ancora una volta in prestito.
E sarà così fino al 2000: Genoa, Salernitana, Cagliari (altra retrocessione). Fino al trasferimento a titolo definitivo al Crotone, che all’inizio del millennio si affaccia per la prima volta nella propria storia alla Serie B.
Il treno, insomma, è passato. Anche quello della Serie A, mai più ritrovata, anche se Ametrano è uno dei protagonisti della promozione del Messina nel 2004.
E così, anche oggi che Raffaele è rimasto nel calcio sotto un’altra veste (fino a fine gennaio era il vice dell’ex compagno Sasà Sullo al Padova, prima dell’esonero da parte dei veneti), di lui ci si ricorda soprattutto per i suoi curiosi numeri alla Juventus: pochissimi mesi complessivi in bianconero quattro presenze ufficiali nei tabellini e un titolo di campione del Mondo nel proprio palmares. Mica male.