C’è un piccolo pezzo di cotone che il calcio italiano ha celebrato per anni. Una specie di reliquia laica, un frammento a cui è stato attribuito il merito di aver lanciato la Nazionale del ’38 verso il titolo mondiale. L’elastico dei pantaloncini di Meazza.
La storia è celebre. 16 giugno. Semifinale in Francia contro il Brasile, secondo tempo, 1-0 per l’Italia, e calcio di rigore. Il divo Peppino s’avvia a tirarlo quando s’accorge che rischia di restare in mutande. Non sa se andare a cambiarsi o calciare prima. Decide. Va a calciare. Tira. Gol. Per anni il calcio italiano ha costruito intorno a quell’insignificante nastrino una storia da tramandare, l’ha costruita mescolando epos e grotesque. Ne scrive Gianni Brera in “Storia critica del calcio italiano”:
“Al fischio dell’arbitro si fa avanti reggendosi i calzoncini con la mano sinistra: il piede destro fa pensare al portiere che tiri alla sua sinistra e vi si tuffa: la palla rotola beffardamente a sfiorare l’angolino del palo opposto e si adagia in rete. Soltanto adesso Meazza sostituisce i calzoncini e torna in campo per bailar calcio a sua volta”.
Ne scrive Mario Sconcerti in “Storia delle idee del calcio”:
“Mentre Peppino si avvia a calciare sente che gli è saltato l’elastico, le mutandine stanno rapidamente calandogli. Si ferma un istante poi decide. Non vuole allungare il momento. Sente il gol nell’aria. Si tiene le mutandine con una mano e con il resto prende la rincorsa. Naturalmente segna”.
Quell’elastico aiutò Meazza a ingannare il portiere, una finta in fibra di cotone: questa è diventata la vulgata. È presente nel monumentale “Dizionario del calcio italiano”, ne hanno scritto Luigi Garlando in “Ora sei una stella”, Carlo F. Chiesa ne “Il secolo azzurro”, Mario Pennacchia in “Il calcio in Italia”.
Solo che. Solo che non è chiaro come nasca questa leggenda, che col passare degli anni cresce, monta, si impone. Mauro Grimaldi in “La Nazionale del Duce: fatti, aneddoti, uomini e società”, attribuisce la ricostruzione della finta con l’elastico alla stampa francese. Emilio De Martino, sul Corriere della Sera del giorno dopo la partita, scriveva: “Meazza, al quarto d’ora, con un tiro che è una meraviglia di stile – segna il secondo punto italiano”. Null’altro su quel calcio di rigore. Più interessante ancora è andare a ripescare l’articolo del giorno dopo (17 giugno 1938) uscito su “La Stampa”. Si legge:
“Da questo rigore, dalla sua esecuzione, dipende praticamente la conferma di quell’esito che vuol dire l’entrata in finale. Gli occhi dei nostri uomini sono fissi su Meazza che si appresta al tiro. Il tiro stesso, tagliato, non lascia mercé a Walter. Due a zero. Meazza è soffocato dagli abbracci”.
Stop. Basta. La storia dell’elastico non c’è. Neppure una parola. Strano. Due volte strano perché la firma sotto l’articolo è di Vittorio Pozzo, proprio il c.t. della nazionale italiana che scriveva di calcio per il quotidiano di Torino. Certo, potrebbe aver eliminato di proposito l’aneddoto. Potrebbe non essersene accorto. Potrebbe non aver attribuito gran valore alla cosa. Ma allora perché l’elastico diventa col tempo un indispensabile elemento narrativo? E soprattutto, a questo punto, a torto o a ragione? Chiediamoci se davvero Meazza calciò tenendosi il pantaloncino con una mano affinché non gli cadesse.
Le immagini sono qui:
A guardarle e riguardarle pare che mostrino le braccia di Meazza lontane dal corpo, lontane dal pantaloncino e dunque dall’elastico. Forse l’avrà retto soltanto mentre stava andando a calciare, probabilmente per questo motivo Vittorio Pozzo non ne parlò nel suo articolo.
Insomma, questa storia ha tanto l’aria di una leggenda diventata sempre più vera quanto più si allontanava nel tempo dalla cronaca. E comunque l’elastico di Meazza dalle leggende del calcio italiano ormai non lo toglie più nessuno.