Usa ’94, l’exploit della Bulgaria
Lug 18, 2023

Quando gli uscì di bocca questo epocale aforisma, il nostro Righetto da Fusignano ancora non sapeva che proprio il superamento di un avversario tanto ostico quanto agnostico lo avrebbe incredibilmente proiettato a giocarsi la Coppa del Mondo nel luglio del 1994. L’avversario in questione – quello del ’94, non quello dell’aforisma – è nientemeno che la Bulgaria. Ostico come pochi, a giudicare dall’infinita serie di trappole, calcioni, proteste, disseminate dai suoi giocatori sulla strada degli avversari. Ma anche agnostico, whatever it means o whatever intendesse dire Sacchi, con la disinvoltura lessicale tipica del romagnolo medio, sempre sul bilico della sconfitta e pronto a trasformare ogni partita, ogni pallone, indifferentemente in una roboante sconfitta o in una inaspettata vittoria.

1993, al Parc des Princes la Francia di Gérard Houllier e la Bulgaria giocano una gara decisiva per la qualificazione ai campionati mondiali

Per i motivi che andiamo a illustrare, possiamo dire che Usa ’94 è stato il suo mondiale. Portando il mondiale negli Usa, per la prima volta si esce dalla alternanza Europa-Sud America. Visto poi quanto poco frega ancora agli Usa del soccer, le televisioni hanno gioco facile ad imporre orari comodi al pubblico europeo, anche se con meno tracotanza che in Messico appena due edizioni prima. Quindi partite in prime time serale, al pomeriggio ed in notturna, ma partite che quando si è sulla East Coast si giocano nel pomeriggio-ora-locale, nel clima atlantico e piacevole di giugno-luglio. Le due finali saranno però nelle ore più calde delle già calde giornate di Pasadena (California), ed i risultati un poco si vedranno.

Francia-Bulgaria e la notte di Kostadinov

Si diceva della totale indifferenza Usa: nonostante abbiano messo su una squadra anche simpatica e che rappresenta la base per una crescita complessiva che li vedrà imporsi dal 2002 in avanti come squadra da passaggio del primo turno-quarti di finale, nel 1994 il movimento è ancora acerbo. Insomma, com’è come non è, attorno a fine aprile si inizia ad annusare un po’ l’odore del flop, che negli Usa è ben peggio di un marchio di infamia. Sì, è vero che si sono qualificati Messico e Italia, così chicaños e paisà sono contenti e un po’ di gradinate le riempiono; sì, le big ci sono tutte (o quasi, vedi infra che fine ha fatto la Francia) dal Brasile alla Germania campione del mondo e di Europa in carica, però…

A qualcuno viene allora in mente una grande idea: chi è il più famoso giocatore del mondo? Bravo, è Maradona. Sì, ma ha praticamente smesso di giocare (quell’anno, cinque partite rissose con il Newell’s Old Boys, mesto ritorno in patria dopo i fasti di Napoli e un anno farneticante a Siviglia, terminato invitando in diretta Tv il suo allenatore Bilardo – quello del Mundial ’86, quello che lo amava come un figlio – a “risolvere la questione da uomini, fuori dallo stadio”). Va bene… però sai che colpo? “Maradona is back!”; “Maradona ancora in Nazionale!”… Si decide di fare un tentativo. Ma gli emissari inviati a proporglielo, si trovano di fronte un vitello inquartato.

La Bulgaria di quegli anni non è stata una delle tante cenerentole della storia del calcio europeo, quanto piuttosto una delle migliori Nazionali di calcio degli anni novanta

Diego, racconterà poi in un’intervista – forse la prima della sua vita in cui non è sopra le righe – ci pensa; si mette la mano sulla coscienza e dice: “Signori, io posso fare al caso vostro. Però, in tre mesi non ritrovo la forma senza ‘supporto esterno’ e i supporti esterni all’antidoping si vedono…”. L’occasione è ghiotta, il piatto piange, … insomma gli dicono “per noi è ok, vedrai che sapremo chiudere un occhio”. L’operazione riesce, il mondiale si risolleva e un Diego in buon peso forma e con i piedi sapienti scende in campo nel ruolo di capitano-trascinatore dell’Argentina. Segna all’esordio contro la Grecia e conduce alla vittoria la Albiceleste anche nella seconda partita. A quel punto, chi ha condotto l’operazione decide che il risultato era raggiunto e poteva bastare. E fa scattare il trappolone dell’antidoping. Grottesca addirittura la presunta ricostruzione della vicenda: nientemeno che la Dia (la polizia antidroga federale) avrebbe capito che Diego era sotto anfetamine vedendo lo sguardo spiritato in occasione dell’esultanza per il gol contro la Grecia (dai su…).

Due immagini di Bulgaria-Grecia 4-0, la prima vittoria ai mondiali dei balcanici.
Protagonisti Lechkov e Kostadinov

Il Mundial sui prati di Diego Armando Maradona finisce lì; tornerà ancora ai mondiali nel 2010 come Dt dell’Argentina. Ma quella sarà una storia da prossime puntate. Detto di pacco e contropaccotto preparato a Maradona, torniamo alle questioni sportive. Siamo per l’ultima volta con il mundial a 24 squadre e la regola del passaggio di turno delle quattro migliori terze, ma Usa ’94 vede l’introduzione di una novità: per la prima volta, la vittoria è premiata con i 3 punti. Si tratta di una innovazione decisiva, perché manda a gambe all’aria il giochino sparagnino del puntare al pareggio-volemosebbène-annamo avanti. Ben tre gironi su sei finiscono con tre squadre a pari punti (6), ma il record si ha in quello dell’Italia, dove addirittura si assiste a tutte e quattro le squadre pari (a 4), cosicché per decidere la graduatoria finale sono necessari differenze reti e scontri diretti. In questo girone, per inciso, la terza classificata è l’Italia. Inizia qui il tran-tran che con felice metafora Gene Gnocchi battezzerà Cul-de-Sac in onore del mister azzurro (l’Arrigo). Usa ‘94 segna il ritorno del calcio giocato, nonostante condizioni climatiche non ideali. Il 5-3-2 che aveva affossato Italia ’90 è ormai nel dimenticatoio e i moduli che vanno per la maggiore in quegli anni sono il 4-4-2 di rigida osservanza sacchiana (Sacchi ha veramente fatto scuola tra il 1988 ed il 1991 alla guida del Milan) ed il 3-4-3 della nuova scuola olandese di Giovannino Crujiff (che grande era come giocatore e grande si rivela anche come allenatore) e del suo erede all’Ajax, Louis Van Gaal.

Bulgaria-Germania 2-1. La rete di Letchkov simboleggia il momento
più alto raggiunto dal calcio bulgaro

Il 3-4-3 può sembrare ai poveri di spirito l’evoluzione del 5-3-2 di quattro anni prima, ma è più vicino al mitico 5-5-5 di Oronzo Canà: si basa infatti sull’incastro di 3 rombi (difensivo, di centrocampo e di attacco), in cui il vertice basso del più avanzato funge anche da vertice alto del rombo arretrato. Questo è il motivo per cui nell’Ajax di Van Gaal, una banda di ragazzini che un mese prima ha vinto la Champions contro il Milan di Capello, giocatori come i due De Boer e Kanu giocano indistintamente da libero, mediano o centravanti e questo è il motivo per cui ti sembra di giocare contro 12 giocatori più il portiere, come dice il buon Canà. In ogni caso, il 3-4-3 è ancora troppo fresco (anche se Crujff nel Barça lo propone fin dal 1991) e troppo concentrato territorialmente per essere già arrivato alle nazionali, nemmeno i due allenatori olandesi presenti (Advocaat ed il “nigeriano” Westerhof) lo adottano. Sul piano tattico, da registrare anche l’Argentina, disposta con un inusuale 4-2-2-2, con Balbo e Maradona a supporto dei due attaccanti di ruolo; ma non andrà lontano.

L’Italia e Roberto Baggio sono un ostacolo insormontabile

Insomma, il combinato disposto dei 3 punti alla vittoria e del ritorno del gioco di attacco fa sì che a Usa ’94 si vedano anche partite divertenti. Per quanto concerne il primo turno, non ci sono grosse sorprese, anche se squadre come Argentina e Italia passano solo come terze, dietro Nigeria (strepitosa e talentuosa realtà, soprattutto all’inizio) e Bulgaria; dietro a squadroni come Messico (!) e Irlanda (!!) l’Italia, che si qualifica grazie a una partita risorgimentale in cui batte la Norvegia pur in 10 contro 11 per 70’ più recupero. Passa facilmente il turno un Brasile operaio, che rinuncia presto all’inutile fratello del grande Socrates (Rai, un gol su rigore nella partita di esordio), lo sostituisce con un mediano in più in mezzo (Mazinho, il padre del grande Thiago Alcantara) e gioca un 4-4-2 all’europea; fa storcere il naso a chi del Brasile vorrebbe sempre i dribbling di Garrincha e i tunnel di Pelè, ma è una signora squadra, compatta e pure tecnica. Dietro di lei nel girone, la Svezia di Brolin (Parma) e Andersson (Bologna), che parte in sordina e cresce di partita in partita.

Per il resto, il primo turno non lascia che aneddoti e curiosità: il gol a 42 anni suonati di Roger Milla, il giocatore più famoso del Camerun prima dell’arrivo di Eto’o, record tuttora imbattuto (forse imbattibile) di giocatore e marcatore più anziano della storia dei mondiali. Nella stessa partita (Russia-Camerun 6-1) si registra un secondo record mondiale: quello del russo Salenko, unico autore di una cinquina alle fase finali. Salenko chiuderà il mondiale da capocannoniere (come diremo, in coabitazione con Stoichkov a 6 reti) e anche questo è un record: mai prima né dopo il capocannoniere non supera il primo turno. Infine, la bella qualificazione da seconda (davanti al Belgio e dietro all’Olanda), dell’Arabia Saudita, prima squadra asiatica a farcela nella storia mondiale. Ah, dimenticavamo: al mondiale del ’94 fa il suo esordio assoluto anche la macchinina elettrica-barella. Quando nel corso della partita inaugurale l’abbiamo vista entrare in campo per la prima volta (per soccorrere nientemeno che il Maradona della Bolivia “El Diablo” Echeverri), molti di noi davanti allo schermo abbiamo pensato che qualche miliardario americano si fosse perso nel cercare la pallina da golf.

Hristo Stoichkov

Riuscire a superare la prima fase addirittura da seconda, dopo la scoppola rimediata all’esordio dagli enfant terribiles della Nigeria, rappresenta in realtà il secondo miracolo della Bulgaria. Il primo, infatti, è stato esserci al mondiale, perché parlare di rocambolesca qualificazione è assai limitativo. La Bulgaria stava nel girone di qualificazione con la Svezia e con la Francia di Papin, Cantona e Platini in panchina (inteso come allenatore); a due partite dal termine, alla Francia basta un punto per qualificarsi e due per farlo come prima nel girone. Le giocherà entrambe in casa, prima contro Israele – ultimo nel girone e ancora senza vittorie – e poi proprio contro la Bulgaria. I Platini-boys steccano in modo pazzesco la prima, perdendo 3-2 in casa con il fanalino di coda Israele. Resta lo in-or-out con i rivali diretti bulgari. La Francia passa in vantaggio, subisce il pareggio, gestisce fino a quando perde palla in attacco e, sul veloce ribaltamento di fronte, becca anche il fatale raddoppio di Kostadinov. Mancano 10 secondi al 90′

Kostadinov castiga la Francia

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Quella Bulgaria arrivata in modo incredibile negli Usa è una squadra di tanti bei ragazzoni che sembrano scappati fuori da un film di Kusturica; su tutti, Trifon Ivanov, difensore che allontanava gli attaccanti fin dal look, e Boris Mikhailov, che, calvo otto anni prima in Messico, si presenta al mondiale Usa con un vistoso ed imbarazzante toupet! La Bulgaria si presenta con un modulo che è a tutti gli effetti un 4-3-3, con i due a supporto della punta unica (il Kostadinov della doppietta al Parco dei Principi comunque giocatore dinamico, con un passato da ala), che non hanno compiti precisi. Sono sì sugli esterni, ma rientrano anche a centrocampo e si lanciano a turno negli spazi; soprattutto Hristo Stoichkov, bel giocatore, bei piedi e tanta cattiverai (non solo agonistica), ma anche tanti begli atteggiamenti da prima donna con arbitri, avversari e compagni che neanche Paris Hilton. Lo stesso Stoichkov, l’anno dopo vincerà il Pallone d’oro per poi approdare al Parma, contribuendo non poco a rompere il bel giocattolino di Tanzi e Scala.

T

Tornando ai bulgari, anche il centrocampo è inusuale, con un mediano dedito a compiti di interdizione (come da tacchetti ben stampati sui polpacci delle mezze punte avversarie), ma altri due giocatori dai piedi buoni. Uno è Balakov, attuale tecnico del Kaiserlautern, giocatore offensivo pure lui. L’altro è Plamen Letchkov, un bel regista di fosforo e gamba, che – nonostante un look alla Mariolino Corso, che portava a chiedersi se non avesse ormai l’età per appendere le scarpe al chiodo – detta i tempi e si rende più utile anche di quella gran figa di Stoichkov, segnando anche due gol (tra cui il 2-1 che elimina la Germania ai quarti).

Trifon Ivanov

In difesa imperversa il Trifone di cui sopra, ma gli altri non gli sono da meno, né per look, né per cattiveria. Zona pura e in linea, con Ivanov a dirigere e due esterni operai, che ben poche volte vanno a cercare la sovrapposizione fin sul fondo. La porta è nelle sicure mani del capitano, Borislav Mikhailov, in nazionale fin dell’86, quando lui parando e Sirakov segnando bloccarono sull’1-1 l’Italia campione all’esordio dello sfortunato mundial messicano. In sostanza, la Bulgaria gioca con cinque giocatori dediti alla difesa e cinque votati all’attacco, ma nel solleone della mattinata-primo pomeriggio americano (più spesso East che West Coast, a dire il vero) corrono tutti come forsennati; a suo modo, anche Stoichkov, che in più ci mette colpi di genio e sei gol, alcuni d’autore. Per concludere l’ampia parentesi tattica, Mister Penev schiera i suoi in modo da giocare letteralmente un catenaccio-contropiede che nemmeno il Paròn Rocco. Certo, è un catenaccio moderno, non solo a zona, ma addirittura 4-3-3, che nel ’94 non giocano ancora in molti, anche se dall’anno dopo diventerà più o meno il mainstream (vedi Juve di Lippi). Soprattutto, la Bulgaria insegna che aveva ragione Peppino di Capri: costringere i propri attaccanti a fare pressing e correre dietro agli avversari per tutto il campo, nun è peccato.

Dimităr Penev

Alla fine saranno 10 gol fatti, Stoichkov capocannoniere (in coabitazione con il già menzionato Salenkov) e storico quarto posto finale. Peccato giusto per le imbarcate all’esordio (3-0 dalla Nigeria) e nella finalina (4-0 dalla Svezia senza neanche sfiorarla e capriccio di Paris Hilton perché il portiere avversario gli ha parato l’unica occasione, impedendogli di diventare capocannoniere). Però non si scappa: se si pensa alla Bulgaria di Usa 1994 quello che ci si ricorda è “tutti indietro, botte da orbi e via di corsa”. E dopo il primo turno? Dopo il primo turno, come più volte rimarcato in queste puntate, i mondiali corrono a rotta di collo verso l’epilogo. Per l’Italia, si scatena il Cul-de-sac: una nazionale che dire immonda è poco, a un minuto dalla fine degli ottavi di finale è fuori, eliminata da una Nigeria in progressivo calando rispetto all’esordio. Ma a quel punto si scatena il fin lì inesistente Roby Baggio, che pareggia all’89’ e perfeziona il sorpasso nei supplementari; ancora una volta, l’Italia vince giocando in 10 per quasi un’ora, a seguito di una farneticante espulsione di Zola. Di lì, tra colpi di fortuna, colpi di gomito (quello di Tassotti a spaccare il naso a Luis Enrique nel quarto di finale, un episodio su cui ogni italiano in vacanza in Spagna da quell’estate a oggi si sarà sentito stracciare i maroni almeno una volta dai locals) e colpi di genio di un ritrovato Robertino, l’Italia arriverà addirittura alla finale.

Dopo un passaggio degli ottavi di tutte le favorite tranne l’Argentina, eliminata dalla Romania, ai quarti cadono Spagna (2-1 dall’Italia), Germania con la Bulgaria, ed Olanda eliminata dal Brasile della coppia del gol Bebeto-Romario (3-2); la Svezia elimina la Romania ai rigori. Le semifinali ripongono la sfida tra Brasile e Svezia, già incontratesi nella fase a gironi. Là fu 1-1, qua 1-0 firmato ancora una volta da Romario dopo una partita in cui la porta svedese sembrava stregata. Nell’altra partita l’Italia vince grazie a un primo tempo finalmente convincente ed alle magie di Roberto Baggio (altra doppietta nel 2-1 finale).

All’incontro decisivo di Pasadena, sotto la canicola del mezzogiorno californiano, l’Italia si presenta con i cerotti, ma tiene duro fino ai rigori, quando ne sbaglia un paio di troppo: l’ultimo è tirato a cadgiùda proprio dall’eroe designato, Robertino, che gioca minimizzando un infortunio patito in semi e che non toccherà praticamente un pallone per tutto il match. Il permaloso Sacchi non glielo perdonerà mai. A proposito di allenatori: Mario Zagallo, coach in seconda di Mister Parreira nel Brasile, è al quarto mondiale vinto sui quattro dei verde-oro: due da giocatore (’58 e ‘62), uno da allenatore titolare (’70) e questo da vice. Chapeau! Il mondiale che registra l’ultimo gol di Diego Maradona è quello della consacrazione di un suo epigono, sempre che di epigoni si possa parlare per un giocatore come Romario de Souza Faria. Fisico da ragioniere come El Diego, vis polemica simile (prego aprire un giornale brasiliano a caso per leggere la quotidiana tirata di Romario contro il mundial 2014, contro Ronaldo, contro chiunque), Romario trascinerà il Brasile alla vittoria finale, fermandosi a un gradino dal titolo di capocannoniere.

Giocatore di piedi eccelsi – pare che, ancora giovane nel PsvEindhoven, abbia interrotto un allenamento infastidito perché “’sto coglione di allenatore mi tiene lì a fare esercizi di tecnica come gli altri, quando quello che riesce a me con i piedi, agli altri riesce solo con le mani” – aveva anche caratteristiche da crotalo dell’area di rigore. La quintessenza dell’arte calcistica di Romario è il gol che apre il tabellino nei quarti di finale con l’Olanda (uno soffertissimo 3-2 finale). A prima vista, uno dice “dov’è la meraviglia? Arriva su un passaggio di Bebeto solo da spingere in porta, ci mancava che lo sbagliasse”. Invece non è così; guardiamolo meglio, perché Romario fa due cose eccezionali.

La prima: arriva a sostegno della fuga di Bebeto, ma quando parte il passaggio è ancora un po’ lontano dal punto di impatto calcolato; se accelera la frequenza degli appoggi, arriverà troppo sotto, mangiandosi lo spazio per piazzare la zampata; se si tuffa in spaccata non arriverà in tempo all’appuntamento. E allora fa l’unica cosa possibile: sull’ultimo passo, ancora lontano, stacca e letteralmente plana in avanti, a coprire lo spazio che lo divide dal pallone. Guardatelo e riguardatelo: sembra Clyde “The Glide” Drexler quando galleggia in aria fino al canestro prima di piazzare la schiacciata. Questo è molto, ma non è abbastanza; è tutto, ma quel tutto è ancora poco, perché arrivando all’impatto con quella velocità, il pallone finirà senza dubbio in curva. Ed ecco la seconda cosa eccezionale. Romario non calcia, si limita a immobilizzare il piede destro, a fare da sponda al pallone, come una racchetta da ping pong piazzata per un rovescio a polso bloccato sulla schiacciata dell’avversario… La palla di Bebeto arriva veloce, prende ulteriore forza dal rimbalzo sul terreno di gioco e, quando sta per schizzare via, incontra il collo-piede fisso a mezz’altezza di Romario. Game, set, and match.

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