Marco Negri, non è un calciatore come gli altri. Specialmente per chi, del pallone che rotola tra i sogni della provincia, ha fatto una religione. Tra esultanze, gol, magie, vittorie, sconfitte e qualche infortunio di troppo, al momento sbagliato, Negri è stato tra i giocatori più iconici del calcio italiano degli anni ’90.
Partiamo dalla domanda del cuore di ogni amante del gioco del pallone. Da dove nasce la sua passione per il gioco più bello del mondo?
“Fin da piccolino ho passato tantissime ore nel cortile di casa mia, asfalto su cui si giocava a tutto, calcio, basket, tennis…la mia preferenza è sempre stata per il pallone e d’altronde erano gli anni dei Campioni del Mondo di Spagna”.
Lei esordisce in A con l’Udinese, una squadra formata da campioni come Garella (2 scudetti tra Verona e Napoli), Balbo e Sensini. Che ricordo conserva di quell’avventura?
“Ho avuto la grande fortuna di crescere in un ottimo vivaio a pochi chilometri da casa, per cui il divertimento non mi ha mai allontanato dagli affetti familiari, molto importanti per me. Poi il salto in prima squadra con nomi altisonanti da cui era un piacere imparare sul campo e da cui avere degli esempi positivi di professionalità e di gestione saggia della propria immagine anche fuori dal campo”.
Prima di esplodere definitivamente ha un lungo periodo di formazione tra Novara, Ternana, Cosenza e Bologna, in paziente attesa del salto di qualità. Sapeva che sarebbe arrivato il suo momento?
“La carriera di un giovane calciatore è contraddistinta da alti e bassi, normali, da cui bisogna sempre imparare e migliorare. D’altronde si possono commettere centinaia di errori, ma bisogna stare attenti a non replicare sempre gli stessi sbagli. La maturazione è arrivata grazie alle esperienze fatte, ai compagni incontrati e agli allenatori per cui ho giocato, è stato un processo continuo, fino alla mia esplosione calcistica, che come attaccante si è notata specie per i gol realizzati”.
La sua attesa viene premiata e la grande stagione arriva nel 1994-’95 a 24 anni, quando di ritorno a Cosenza, trascina i rossoblù in B con 19 gol. Come ha vissuto nella cittadina calabrese?
“Fantastica esperienza quella con la maglia del Cosenza, un posto ideale per un giovane calciatore dove crescere, tra l’affetto di tifosi caldi e affettuosi che ti spingono a dare sempre il meglio. Un allenatore valido come Zaccheroni e tanti campioni come compagni, uno su tutti Gigi Marulla, mi hanno permesso di affacciarmi al grande calcio e agli addetti ai lavori. Per questi motivi sarò sempre grato a Cosenza e al Cosenza“.
Nel ’95 la chiama il Perugia, una squadra molto ambiziosa, finanziata e diretta dal vulcanico presidente Gaucci. Com’era il rapporto con lui?
“Un presidente capace, ambizioso, generoso e esigente. Il mio rapporto con lui è sempre stato ottimo nelle poche volte che ci siamo incrociati, anche perché il primo anno è stato meraviglioso con la promozione in serie A, poi nella massima serie ho realizzato 15 gol e sono stato venduto per più di 10 miliardi di lire. Un buon affare direi…”.
Con i Grifoni ottiene la promozione in A, realizzando 18 gol. Quella Serie B era qualcosa di straordinario, solo tra gli attaccanti annoverava bomber del calibro di Montella, Hubner, Lucarelli, Carnevale, Nappi, Skuhravy. Pensa che questa categoria, da sempre palestra dei giovani talenti, possa in futuro rivivere questo splendore?
“Spero proprio di sì, così da avere un campionato cadetto di grande qualità, dove si potranno ammirare talenti puri, che possano diventare protagonisti in serie A nel prossimo futuro, alzando il livello generale del calcio italiano”.
Con i Grifoni disputate un ottimo girone d’andata, di cui lei è protagonista assoluto; mentre vi spegnete in quello di ritorno, con l’esonero di Galeone e due cambi in panchina, a fare da cornice ad una situazione di caos generalizzato. Cosa suscitano in lei questi ricordi?
“Purtroppo sappiamo tutti come andò a finire. Provo un grande rammarico perché ritengo che quella squadra fosse veramente ottima, si poteva aprire un ciclo e ambire a posizioni alte di classifica, oltre a togliersi tante soddisfazioni da condividere con una tifoseria anche qui speciale e molto calorosa. Purtroppo sappiamo tutti come andò a finire… nel calcio sono troppe le variabili che incidono, quindi mi porto dietro una grande delusione per non aver potuto fare di più, ma anche tanti bei ricordi di una piazza calcistica veramente piacevole”.
Lei ai tempi del Perugia ha giocato sia con Allegri che con Gattuso, oggi rispettivamente mister di fama internazionale e allenatore emergente. Già da giocatori mostravano qualità proprie di un allenatore, come il carisma e il piano strategico?
“Entrambi avevano da giocatori un carisma e una personalità molto spiccata, che sono riusciti a mantenere e trasmettere ai propri giocatori. Max è un po’ più un gestore di personalità, di un gruppo fantastico di grandi campioni. Rino è un allenatore molto grintoso, che riesce a tirare fuori da tutti il massimo. Inoltre sta migliorando molto anche sotto il profilo strategico e tattico, d’altronde ha bisogno di fare esperienza e di crescere ancora. Nessun traguardo gli è negato”.
In azione nei Rangers di Glasgow
Nel ’97, dopo una grande annata in Serie A, è uno dei giovani più richiesti del campionato italiano. A spuntarla, anche per il suo desiderio di provare un’avventura all’estero, sono i Rangers. Che cosa ha provato quando è atterrato a Glasgow, in una cultura, come quella scozzese, completamente diversa dalla sua?
“Grande curiosità di affrontare un campionato affascinante e diverso da quello italiano, tanto entusiasmo di integrarmi in una cultura cosí legata alle tradizioni come quella scozzese, con due grandi paure: la lingua nuova e la guida a sinistra”.
L’impatto col nuovo campionato è perfetto e lei è devastante sotto porta, con la migliore media europea nelle prime 10 partite, realizzando 5 gol in una sola partita contro il Dundee e vincendo la classifica cannonieri, terzo italiano a farlo in un campionato straniero, dopo Boninsegna e Chinaglia e al pari di Vieri. Che ricorda di quei momenti?
Ancora con la maglia del Perugia
“Sono molto orgoglioso e fiero di aver indossato una maglia prestigiosa come quella blu dei Rangers e di aver entusiasmato tanti tifosi con i miei gol. Per un giocatore straniero partire bene in una nuova avventura è importantissimo e per un attaccante segnare così tanti gol è una scorciatoia per entrare nei cuori dei tifosi”.
Quanto ha inciso la presenza di molti compagni italiani sul suo ambientamento in Scozia?
“Per il primo periodo avere nella stessa squadra altri connazionali come Gattuso Amoruso e Porrini è stato un vantaggio soprattutto per l’inserimento. Le problematiche erano le stesse per tutti noi, il fatto di condividerle è stato un aiuto importante”.
Com’è, vista da dentro la rivalità tra Celtic e Rangers, protagoniste del leggendario derby dell’Old Firm, scontro che oppone la parte cattolica di Glasgow a quella protestante? Qual è il suo ricordo più bello?
“L’Old Firm è sicuramente la partita più importante che io abbia giocato. Una partita che coinvolge due metà della stessa città, due appartenenze diverse e opposte… Non è una partita, ma la partita che i tifosi iniziano a giocare una settimana prima e che continua oltre i 90 minuti. Il ricordo più bello è certamente il mio gol nell’Old Firm al Celtic Park, un’emozione difficile da raccontare, un gol che a distanza di anni ricordo con più orgoglio e mi fa ricordare dai supporters dei Rangers, i più appassionati del mondo”.
Nei Rangers hai avuto l’opportunità di giocare assieme ad un fuoriclasse assoluto come Gascoigne, la suprema sintesi di genio e sregolatezza, certamente il miglior amico di ogni attaccante. Eravate molto legati?
“Gazza lo considero il giocatore più forte con cui abbia mai giocato, ma sono più fiero di aver conosciuto molto bene anche Paul, persona interessantissima, mai banale: certo un pó bizzarra. Nel libro ‘Marco Negri più di un numero sulla maglia’ che ho scritto un pó di anni fa, dedico a lui un intero capitolo e lo definisco senza dubbio lo Special one. Uno come lui nasce ogni 50 anni, io ho avuto l’onore di averlo come compagno e amico fuori dal rettangolo di gioco”.
Quando tutto sembra andare per il verso giusto, però la sorte le volta le spalle. Durante una partita a squash col compagno Porrini lei è vittima di un infortunio alla retina dell’occhio, che la costringe ai box per un mese. E’ l’inizio della fine, infatti ulteriori problemi di salute come polmonite e ernia la tengono a lungo fuori dal campo, impedendole di allenarsi con continuità e costringendola al ritorno in Italia. In quei momenti dove ha trovato la forza di andare avanti?
“Nella passione per il calcio, lo sport più bello che ci sia, quella che mi ha spinto sin da quando ero ragazzino, che è rimasta sempre fortissima, anzi si ù rafforzata se possibile. Nei momenti difficili fai leva su questo, sull’orgoglio di essere ancora competitivo, certamente grazie ai familiari che ti spingono e aiutano a superare gli ostacoli e pensando di essere stato enormemente fortunato della carriera che ho fatto, dei gol segnati e degli obiettivi raggiunti con il sacrificio e l’onestà insegnata dai miei genitori. Di più non potevo chiedere al destino…”.
Cosa prova ad essere ancora così amato dai tifosi dei Rangers?
“Orgoglio e onore come già detto. Quando ritorno in Scozia all’Ibrox per giocare con la squadra delle leggende o per commentare una partita per la Rangers Tv, i tifosi mi fanno provare sensazioni uniche, come se stessi ancora giocando per loro. D’altronde, come si dice da quelle parti, ‘Once a Rangers always a Rangers ‘ ed è per questo che sono i tifosi più leali e appassionati del mondo”.
Giacomo Bonetti