La Coppa del mondo che si giocò in Argentina, nel 1978, è ricordata all’unanimità come una delle più controverse di sempre – o, quantomeno, del Dopoguerra. La ragione è semplice e drammatica: dal marzo 1976 il Paese, dopo il colpo di stato che depose Isabelita Perón, era governato da una giunta militare sanguinaria, guidata dal generale Jorge Rafael Videla.
Nell’aprile del 1977, più di un anno prima dei Mondiali, iniziarono i “giovedì delle madri”: quattordici donne si ritrovarono a plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, a camminare in silenzio – la legge puniva assembramenti statici di persone in luoghi pubblici – per chiedere verità sui figli scomparsi. Si calcola che almeno 30.000 argentini, durante gli anni della dittatura di Videla, sparirono, nei campi di concentramento o gettati, spesso ancora vivi, da aerei militari che sorvolavano il Rio de la Plata.
La Nazionale argentina vinse quel Mondiale agli ordini del flaco Menotti, allenatore inviso al regime, e scese in campo senza il suo storico capitano, Jorge Carrascosa, che decise di abbandonare la fascia. Fu Daniel Passarella ad alzare la coppa ricevuta dalle mani di Videla.
Durante tutti i Mondiali, giocati in sei differenti impianti, si potevano vedere della bande nere dipinte intorno ai pali dell porte. David Forrest, del sito In Bed With Maradona, ha recentemente pubblicato (anche qui, sul Guardian) un bel reportage in cui cerca di scoprire il significato di quei segni.
Uno degli ideatori del messaggio fu Ezequiel Valentini, tra i responsabili della preparazione dei campi nel comitato organizzatore del Mondiale. «Nel 1978 tutti sapevano (dei desaparecidos, NdR)», ha raccontato. «Come potevamo fare del nostro meglio sapendo che sarebbe andato a beneficio del generale?».
Una protesta pubblica era fuori discussione: troppo rischioso, avrebbe portato in carcere, o peggio, troppe persone. Così decisero per vestire i pali “a lutto”: non una forma di protesta, ma di cordoglio e di ricordo.
Dovettero presentare il piano ai generali: «Ci chiesero a cosa servivano quelle bande nere. Rispondemmo che erano una tradizione. Non sapevano niente di calcio». L’intero reportage è disponibile qui. Una storia di quei Mondiali, scritta da Giorgio Burreddu e originariamente pubblicata nel libro Maledetti sudamericani, qui.