Poi arrivò un tipo coi baffi e prese a far gol da calcio d’ angolo. Direttamente, senza filtro. I palloni spiovevano e beffavano stupefatti portieri. La prima volta venne archiviata alla voce “stravaganze della domenica” – una botta di sedere, mormorarono i più -, però alla quinta o sesta rete dal corner tutti si convinsero: né fortuna né cross sbagliati, quel tizio voleva proprio segnare.
Massimo Palanca, il signore dei cantoni, sbocciò nel tanto rievocato ’77. Contestazioni, sampietrini e bandierine. Portava baffoni che lo rendevano somigliante a Mario Moretti capo delle Brigate Rosse e giocava nel Catanzaro, club fin lì conosciuto perché anni prima aveva battuto la Juve e l’ autore del gol decisivo, un “certo” Mammì, aveva esultato come un pazzo sciroppandosi di corsa un intero giro di campo.
Massimo Palanca aveva (ha) il piede piccolo. “Numero 37”, chiarisce lui. La quale cosa è un bel vantaggio, si colpisce il pallone con maggior forza e sensibilità. Una sera Sandro Ciotti gli pose una legittima domanda (“Tutti i grandi campioni hanno il piede minuto, come mai?”) e Palanca rispose con proletario pragmatismo: “Il mio non è cresciuto e mi sono dovuto adeguare alla situazione”.
Massimo accudiva il suo sinistro fatato, lo avvolgeva in scarpe confezionate su misura dalla “Pantofola d’ oro”, la ditta dei signori Lazzarini, calzolai di Ascoli Piceno specializzati in calzature per campioni, da Sivori a Rivera. “Calciavo di interno collo a giro”. Carletto Mazzone suo allenatore del Catanzaro diceva: “Tu tratti gli angoli come se fossero punizioni dal limite”.
Per marcare i suoi gol angolari, Palanca si serviva di complicità: “Per forza, ci voleva qualcuno bello grosso che andasse a rompere le scatole al portiere, che gli si parasse davanti e lo disturbasse. Il mio guastatore preferito era Claudio Ranieri. Sì, lui, l’allenatore. Infastidiva bene, con classe”.
I portieri non s’ arrabbiavano? “Sì, ma gli passava. Il mio bersaglio preferito era Paolo Conti della Roma, un amico”. O Rei (come Pelé). L’Imperatore. Piedino. Sono alcuni dei soprannomi affibbiati a Massimo Palanca. La curva dello stadio di Catanzaro gli dedicava un coro in dialetto: “Massimé, pari ‘na molla/ pari ‘ na molla”. Poi nel 1981 lo cedettero al Napoli per un miliardo e 350 milioni di lire. Massimo ritornò nel 1986 in C1 e riportò il Catanzaro in B, ma non fu la stessa cosa del ‘ 77. Tempi cambiati, vigeva l’ edonismo reganiano e Palanca teneva i suoi anni. Nel ’90 il ritiro.
O’Rei di Catanzaro si era assicurato il futuro nel 1984, aprendo assieme alla moglie un negozio di abbigliamento a Camerino. L’attività commerciale resiste ancora, ma il calcio rimane centrale nella vita di Palanca, ex osservatore della federazione. Poi è stato selezionatore di due rappresentative giovanili del Comitato Figc delle Marche, gli Allievi e i Giovanissimi. Ogni tanto scende in Calabria, dove resta un mito e dove ha vari club dedicati. Quel che non si vede più, nel calcio di oggi, è il gol dalla bandierina.
Perché, Massimé? “Nessuno ci prova, eppure ci sarebbe gente col piede giusto, penso a Figo e Del Piero. Però, vi prego, ricordate ai giovani che io sapevo fare altre cose difficili, per esempio le rovesciate, e possedevo un bel tiro da tutte le posizioni. Questa storia dei calci d’angolo è un po’ una persecuzione”.
Foto sotto il titolo: per gentile concessione di Roberto Talarico