Adesso la partita era terminata. Per fortuna. La Juventus Cisitalia aveva battuto il Torino Fiat per 3-1. Ma il risultato della stracittadina non importava granché. Gli spiccioli di folla, rimasti con coraggio sugli spalti fino all’ ultimo secondo, imboccarono le uscite. E tirarono un respiro di sollievo. La pelle stavolta era salva, questo contava. Allora, nell’ abbandonare lo stadio, qualcuno osò domandare in giro se a cominciare erano stati i tedeschi oppure i fascisti. O magari i partigiani, se era vero, come pareva, che dalle gradinate anche qualche gappista, forse tifoso dei granata, avesse aperto il fuoco. Le domande, sia pure timide e pronunciate a voce bassa, caddero nel vuoto. I cancelli del «Mussolini» vennero chiusi. Il pomeriggio scivolò nella sera.
Tra le ombre si confusero repubblichini e SS. Passò all’ onore delle cronache come il derby del giorno di Pasqua, sebbene quel 2 aprile del 1945 fosse in realtà il lunedì dell’ Angelo. Chi lo visse lo rammentò nitidamente non soltanto per gli spari e per le botte tra calciatori avversari, ma soprattutto perché si giocò in un’ atmosfera livida di terrore eppure grondante di attesa per l’ ormai imminente liberazione. Circa una settimana prima, il 23 di marzo, alla presenza di Alessandro Pavolini si celebrò in pubblico l’ anniversario della fondazione dei fasci di combattimento. Più che una celebrazione, tuttavia, l’adunata ebbe gli umori di un funerale. In città si susseguivano le azioni dei partigiani e le rappresaglie dei nazifascisti.
Il 7 marzo, intanto, gli alleati erano penetrati in Germania; sull’ Appennino stava per entrare nel vivo l’ offensiva anglo-americana. In uno scenario del genere, a dimostrazione che il gioco del calcio è più forte della morte, i dirigenti juventini decisero di ricordare Pio Marchi, l’ ex calciatore e dirigente bianconero deceduto in un bombardamento, organizzando un incontro con i «cugini» del Toro. Preservate negli organici pressoché interamente, salvo le dispersioni dovute alla divisione dell’ Italia, grazie all’ inquadramento dei giocatori nei quadri aziendali della Cisitalia di Piero Dusio e del Torino di Ferruccio Novo sotto il marchio Fiat, le due squadre si diedero appuntamento per Pasquetta. La voce della sfida si diffuse con rapidità, l’ antica rivalità fra le tifoserie la vinse sulla paura. Così quel pomeriggio, allo stadio intitolato al Duce, si presentarono in molti. Le due formazioni fecero il loro ingresso con il lutto al braccio, un colore che si addiceva alla perfezione ai tempi.
Il Torino schierò Pinsa Bodoira in porta, quindi capitan Mazzola, Loik e tutti gli altri; la Juventus si mostrò con Sentimenti IV tra i pali, Foni, Rava, Depetrini, Parola, Sentimenti III, Farfallino Borel. Dalle scarne notizie che si sono conservate, si sa che i bianconeri partirono alla grande, dominando a centrocampo grazie alla linea mediana composta da Depetrini, Carletto Parola e Capaccioli. Fatto sta che all’ inizio del secondo tempo la Juve era in vantaggio per due reti a una.
Fu il preludio degli scontri. Il primo vide protagonisti Ezio Loik e Capaccioli. Quello successivo ebbe l’ effetto di accendere gli animi nel senso letterale della parola. Accadde quando Mazzola, per reazione a un fallo, cercò di dare un pugno a Borel.
Valentino Mazzola con il presidente del Torino Ferruccio Novo
Farfallino si scansò e capitan Valentino, nello slancio, ruzzolò al suolo. A quel punto si mise di mezzo Piero Rava, che aveva ripreso a giocare dopo il ritorno dalla campagna di Russia con l’ Armir. Accorse per dare una mano a Borel. Non ci fu mossa migliore per dare l’ avvio alla rissa generale, tra quasi tutti i calciatori. E non solo a quella. A un tratto, alla concitazione in campo si contrappose sinistramente il crepitio di una mitragliatrice. I colpi secchi, le raffiche in aria, però non sortirono l’ effetto desiderato di bloccare sul nascere i tumulti. Tanto che dalle tribune si rispose al fuoco, anche se sempre mirando in alto. La sparatoria s’ infittì. Sparavano i fascisti, sparavano i tedeschi, probabilmente sparò pure qualche partigiano. I giocatori si buttarono a terra, i proiettili sibilarono sulle loro teste.
Felice Placido Borel
Allorché le armi tacquero, bianconeri e granata, rialzatisi prontamente, come se niente fosse ricominciarono a darsele. Alla zuffa si unirono dei tifosi. Di nuovo, dalle gradinate, mitraglie e rivoltelle si fecero sentire. E ancora i giocatori si ripararono schiacciando le facce contro il terreno di gioco. Nonostante quel gran trambusto, l’ odore di polvere da sparo aleggiante sullo stadio, la partita venne ripresa quando Mazzola e Borel fecero la pace. E andò in porto. Gli almanacchi ne riportano solo il risultato, i nomi dei marcatori non sono menzionati. Certo è che alcuni dei contendenti, sia granata sia bianconeri, presero la via degli spogliatoi con i volti pesti e sanguinanti. Nemmeno un mese dopo Torino fu liberata. E la guerra finì.