Pochissimi giocatori hanno unito un intero paese come Hugo Sánchez. Nel contempo ci sono stati pochi giocatori come la leggenda del Real Madrid. Quando dal Messico si trasferì in Spagna nel 1981, non pensava che avrebbe scritto le pagine più importanti e famose della sua storia calcistica. Gli atteggiamenti di superiorità del pubblico spagnolo verso un messicano hanno inizialmente ostacolato la sua fiducia, ma un decennio più tardi tutto sarebbe cambiato.
Prima della follia realizzativa di Cristiano Ronaldo e delle percentuali di Lionel Messi, Sánchez ha fissato il suo record. In soli sette anni al Bernabéu è diventato il terzo miglior marcatore nella storia del club, vincendo il premio Pichichi per il miglior marcatore della Liga ben cinque volte e stabilendo il record di gol segnati in una stagione con 38 nel 1989-‘90.
Sebbene sia comprensibilmente ricordato principalmente per la militanza nei Blancos, il suo arrivo a Madrid è stato con i rivali dell’Atlético, e il suo impatto iniziale è stato deludente. Lottando per il posto fissi e la fiducia, riuscì comunque a registrare 12 gol.
Gli atteggiamenti nei confronti dei giocatori messicani erano diversi rispetto ad oggi: erano spesso insultati per essere quasi corpi estranei. Nelle prime fasi della sua avventura spagnola si ipotizzava che non avrebbe avuto la perseveranza per resistere, ma lui ha combattuto preconcetti tanto attraverso il suo brio quanto grazie sua coerenza. La sua predilezione per le spettacolari “chilene” (calci in aria) ha finito per incantare i tifosi: il suo stile di gioco non è derivato dalla sete di accettazione o adulazione, ma da una combinazione del suo incredibile istinto naturale e del desiderio di intrattenere i suoi tifosi.
Il suo sfarzo atletico proveniva da una famiglia ricca di sport. Suo padre era un calciatore semi-professionista, che un giovane Hugo idolatrava mentre Sánchez Sr praticava i suoi trucchi e le sue chilene. Sua sorella era una ginnasta olimpica che ha rappresentato il Messico ai Giochi di Montreal nel 1976. “Hugol”, come è stato soprannominato dagli spagnoli, eseguiva la sua celebrazione acrobatica della capriola dopo ogni gol che segnava, a testimonianza della sua agilità e grazie al basso centro di gravità.
In Messico, intere famiglie si affollavano intorno ai televisori solo per catturare il loro idolo che infiammava il lontano campionato della Liga.Tuttavia, il fenomeno sociale si intrecciava con un’amara ironia; negli undici anni in cui ha giocvato in Spagna, ha collezionato solo sette presenze nella nazionale messicana, quattro delle quali erano durante i Mondiali di casa nel 1986.
Il peso inimmaginabile della pressione che si era accumulata sulle sue spalle avrebbe schiacciato chiunque, ma non Sánchez. Alcuni potrebbero aver messo in dubbio la sua motivazione di rappresentare il suo paese ora che aveva raggiunto la terra promessa del calcio europeo, mentre altri erano semplicemente orgogliosi di vedere uno che sventolava con fierezza la bandiera messicana all’estero. Ciò non impedì di segnare in totale 29 gol in 58 presenze, accrescendo sempre, ogni volta, il fascino della sua odissea all’estero.
Come simbolo nazionale, ha mostrato al mondo che il Messico era un paese di talento che meritava rispetto. La sua carriera ha spianato la strada per i suoi connazionali, insegnando loro ad avere la convinzione e il carattere per costruirsi una carriera oltre l’Atlantico. La sua carriera ha dimostrato quell’infinita qualità che lo ha portato a raggiungere i suoi obiettivi ovunque andasse.
Leo Beenhakker, il suo allenatore al Real Madrid, ha lodato notoriamente la qualità esuberante dell’abilità di fare gol di Sánchez. “Quando un giocatore segna un goal del genere (riferendosi al suo spettacolare gesto contro Logroñés ndr), il gioco dovrebbe essere sospeso e un bicchiere di champagne offerto agli 80.000 fan che lo hanno visto”. La coppia si è scontrata verso la fine del suo tempo al Real per il rifiuto del messicano di andare in panchina nella gara di Coppa Uefa contro il Torino. Ma la natura chimerica del più grande messicano di tutti i tempi non poteva ancora sminuire la sua leggenda.
Mario Bocchio