Zico, l’illusione friulana: due anni di magie, ferite e incomprensioni
Dic 10, 2025

Quando Udine si innamorò del più fragile dei fuoriclasse e scoprì che il sogno non basta a diventare grandi

Il 5 agosto del 1983 Udine smise di essere una città di provincia. Quella sera, per l’amichevole del Trofeo Zanussi contro il Real Madrid, il vecchio Friuli si riempì come mai prima: quarantacinquemila persone arrivate solo per vedere lui, Arthur Antunes Coimbra. Zico.

L’uomo che al Mundial dell’anno prima Gentile aveva marcato come un reato. Lamberto Mazza e Franco Dal Cin erano riusciti a portarlo in Italia dopo settimane di contestazioni, carte bollate e perfino un ordigno scagliato contro la Federcalcio locale. La città aveva scelto il suo grido: “O Zico o Austria”. E aveva vinto.

“Il Galinho” (Il Galletto) è il famoso soprannome di Zico, leggendario calciatore brasiliano, considerato uno dei più grandi talenti della sua generazione, noto per la sua classe, visione di gioco e incredibili calci di punizione, e amato in Italia soprattutto per il suo periodo all’Udinese (1983-1985), dove brillò in Serie A

Quella notte il brasiliano impiegò pochi minuti a incantare: punizione telecomandata, rimonta sul Real, vittoria. Udine uscì dallo stadio convinta di aver toccato l’inizio di un’era. Il campionato confermò l’ebbrezza iniziale: 0-5 a Genova, doppietta del numero dieci, Santana ai microfoni a chiedergli se davvero l’Udinese potesse puntare allo scudetto. Sognare costava poco.

Zico con la magia dell’Udinese

La realtà impiegò qualche mese a presentare il conto. Il talento individuale di Zico era abbagliante – 19 gol in 24 partite il primo anno – ma si integrava male in una squadra rimasta pur sempre provinciale. Virdis, Mauro, Causio, De Agostini non bastavano a sorreggere l’entusiasmo. Il sesto posto dell’anno precedente si trasformò in un modesto nono, poi in un dodicesimo sofferto. Edinho, capitano e connazionale, disse ciò che tutti pensavano: l’arrivo del fenomeno aveva gonfiato le ambizioni senza cambiare il valore reale della rosa.

Specialista nelle punizioni

Fuori dal campo, Zico diventò un caso costante. Prima le polemiche per i falli subiti – lui accusato di vittimismo, gli avversari di eccessiva durezza – poi i deferimenti, le accuse agli arbitri, la frizione continua con un calcio che non concedeva niente. L’episodio simbolo fu l’amichevole a Brescia dell’8 marzo 1984: voleva regalare un tempo in più ai tifosi, giocò anche la ripresa e si fece male. Da lì il fisico iniziò a tradirlo.

1983, contrastato da Stielike in Udinese-Real Madrid 2-1

Rientrò giusto in tempo per una partita decisiva a Torino, dove l’Udinese cadde 3-2 contro la Juventus di Platini. Zico segnò, poi esplose: rigore negato, fuorigioco inesistente, partita falsata. Un altro deferimento. Un’altra frattura.

Il secondo anno scivolò via in una nebbia di infortuni, tasse non pagate, accuse poi cadute nel nulla, e un crescente distacco emotivo. L’ultima fiammata fu il 2-2 con il Napoli al Friuli. Punizione capolavoro di Maradona, risposta d’orgoglio dell’Udinese, poi il pareggio di Diego all’88’ con un colpo di testa più simile a una carezza di mano. Zico perse completamente la calma: “Qui non c’è giustizia. Lavori una settimana e poi ti rovina tutto un incapace”. Sei giornate di squalifica. Fine dell’avventura.

Ricordo del “Trofeo Zanussi”

Pochi giorni dopo arrivò anche la condanna per esportazione di valuta, poi cancellata. Dal Brasile Zico chiuse con un sospiro amaro: “In Italia non torno. Qui almeno mi vogliono bene”.

Così si concluse la storia del fuoriclasse che avrebbe dovuto cambiare il destino dell’Udinese e che invece ne rivelò i limiti. Un lampo, un tumulto, un amore incompiuto. E un’illusione che ancora oggi, a Udine, nessuno ha smesso davvero di rimpiangere.

Mario Bocchio

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