
Di Paolo Rossi campione del mondo e Pallone d’Oro nel 1982 si è scritto tutto. “Pablito” appartiene alla memoria collettiva, e aggiungere un’altra voce al coro servirebbe a poco. Vogliamo raccontare quello arrivato a Verona quando i giorni di gloria erano già alle spalle
Per comprendere l’impatto dell’arrivo di Paolo Rossi a Verona occorre tornare al 1982, l’anno in cui l’Italia di Bearzot conquistò il mondo e l’immagine di “Pablito” entrò nella mitologia sportiva nazionale. La sua esplosione in Spagna trasformò un’intera generazione di ragazzi, che nel calcio vedevano un semplice passatempo, in tifosi appassionati. Era l’epoca in cui bastavano un cortile, due pietre per fare la porta e la fantasia di imitare le sue zampate in area.

Per il vero Rossi, però, gli anni successivi non furono semplici. Gli infortuni accumulati e il ruolo di centravanti – allora sinonimo di contrasti duri e marcature feroci – iniziarono a presentare il conto. Pur giovane, portava addosso i segni di una carriera vissuta ad altissima intensità.
Nell’estate 1986, quando il Verona annunciò il suo ingaggio, la piazza reagì con scetticismo: pesavano le esperienze precedenti con Vicenza, Juventus e Milan, maglie non certo amate in riva all’Adige.
L’ambiente cambiò tono solo quando Osvaldo Bagnoli, uomo di poche parole e giudizi accurati, spiegò che Rossi poteva offrire qualità in campo e, soprattutto, equilibrio nello spogliatoio. Le sue garanzie misero a tacere molti dubbi.

Rossi arrivò con un atteggiamento impeccabile. Si allenò con dedizione, accettò ogni ruolo richiesto, divenne un punto fermo nelle dinamiche del gruppo. Con i tifosi mantenne sempre un comportamento esemplare, fatto di sorrisi e disponibilità. In Coppa Italia il suo avvio fu incoraggiante: due reti al Campobasso, una al Bari. In campionato, invece, la stagione fredda e i ritmi elevati gli crearono più difficoltà, pur continuando a offrire contributo tattico come seconda punta, rifinitore o esterno di sacrificio.

A fine stagione scelse di appendere le scarpe al chiodo. Chiuse con 20 presenze e 4 gol, tre dei quali su rigore. Ma ne rimane uno che, più degli altri, conservano i tifosi veronesi: la rete segnata al Torino il 18 gennaio 1987.

Quel giorno il campo era pesante, intriso d’acqua e fango. All’87’, su un pallone crossato in area, Rossi anticipò tutti con uno stacco che riportava alla memoria i suoi giorni migliori. Non fu un gesto destinato alle antologie del calcio, eppure racchiudeva il suo spirito: intuizione, lettura del momento, scelta di tempo perfetta. Il Verona vinse 1-0 e quella fu la sua ultima rete su azione da professionista.
Un gol semplice, quasi intimo, che a Verona ha assunto il valore di un cimelio. L’ultimo bagliore di un campione che, lontano dai riflettori del Mundial, seppe regalare alla città un frammento prezioso della sua storia: un vero, ultimo lampo da “Pablito”.
Mario Bocchio
