
L’epopea di Costantino Rozzi e la voce inconfondibile di Tonino Carino, tra imprese, sorrisi e un’Italia che sembrava più semplice
C’era un tempo – e non è leggenda – in cui l’Ascoli guardava negli occhi le grandi. Era la squadra del presidente vulcanico, Costantino Rozzi, che più che un dirigente sembrava un patriarca capace di far muovere un’intera città al ritmo della sua passione. Il Del Duca diventava fortezza, piazza e teatro insieme: ci si andava per vedere il pallone, ma anche per respirare un modo di stare al mondo.

A raccontare quell’epopea, ogni domenica, c’era lui: Tonino Carino, giacca color crema, microfono in mano e quella voce che sembrava uscire da un bar del centro. “Da Ascoli, Tonino Carino!” era un marchio di fabbrica, un ritornello che metteva di buon umore persino gli avversari. Carino non descriveva solo le partite: rendeva l’Ascoli una storia collettiva, fatta di entusiasmo, meraviglia e un po’ di incoscienza.

Con Rozzi in tribuna e Carino in televisione, la provincia diventava capitale morale. L’Ascoli batteva il Milan, impensieriva la Juventus, faceva tremare chiunque. Non era soltanto calcio: era una piccola insurrezione gioiosa, l’idea che con ostinazione e un sorriso si potesse rendere grande ciò che grande non era mai stato.
Poi le stagioni sono passate, come passano tutte le fiabe. Ma quell’Ascoli resta lì, sospeso in una memoria luminosa: la squadra che osò sfidare i giganti, il presidente che trasformò un sogno in realtà e il cronista che lo rese immortale con una sola frase. Da Ascoli. Sempre. Tonino Carino.
Mario Bocchio
