Nacka, il funambolo perduto
Nov 25, 2025

La parabola di Lennart Skoglund: un talento splendente capace di incantare Milano e la Svezia, ma incapace di domare i propri abissi

Lennart Skoglund era uno di quei calciatori che non si dimenticano. Agli occhi di chi lo aveva visto giocare – come Azeglio Vicini, che lo definiva “quasi al livello di Maradona”, aveva qualcosa di irripetibile. Eppure la sua carriera, luminosa e tormentata, è il ritratto di un uomo che sapeva liberarsi degli avversari ma non di sé stesso.

La sua storia parte in un angolo proletario di Stoccolma, Nacka, un quartiere dove i ragazzi imparavano a giocare tra l’asfalto e la miseria. Da lì quel biondino dal sinistro elegante decollò: Söder IK, poi Hammarby, poi la consacrazione a soli diciotto anni come miglior giovane di Svezia. Ribelle come pochi, passò buona parte del servizio militare in punizione, ma quando arrivò il momento di scegliere la squadra per i Mondiali del 1950, lui era già inevitabile. Nella partita decisiva della selezione, segnò tre gol che non lasciarono dubbi: il Brasile lo aspettava.

Mondiali del 1958, il brasiliano Zito cerca vanamente di impedire a Skoglund di crossare

Il Mondiale lo proiettò sulla mappa del calcio internazionale. E non appena tornò in patria, l’Inter lo strappò all’AIK per una cifra clamorosa. A Milano trovò un campionato duro, tattico, difensivo. Ma proprio per questo il suo estro brillava ancora di più: scatto, finta, cross. Tutto sembrava facilissimo per lui. I tifosi lo adoravano per la naturalezza con cui sapeva capovolgere un’azione con un solo gesto.

Skoglund in azione nell’Inter contro il Genoa

Fuori dal campo, però, la situazione era diversa. L’Italia lo sedusse: le serate nei locali, le attenzioni, la fama. Skoglund si immerse nella vita milanese con lo stesso impeto con cui assaltava la fascia. Ma l’alcool, da vizio giovanile, divenne dipendenza. I compagni lo prendevano in giro chiamandolo “Grappino”, senza immaginare che quel soprannome avrebbe finito per descrivere un tormento.

Campionato 1954-’55: Benito Lorenzi, Lennart Skoglund e Roberto Passarin in allenamento con l’Inter all’Arena di Milano

Gli anni migliori li trascorse comunque con l’Inter e con la Nazionale svedese, fino alla finale del 1958 contro il Brasile di Pelé. Poi iniziò la discesa: acciacchi fisici, un’ernia operata, meno brillantezza. Il trasferimento alla Sampdoria gli diede due stagioni ancora positive, ma ormai a intermittenza. A Palermo rimase poco. Infine il ritorno all’Hammarby, accolto come un figlio prodigo. E per un attimo sembrò ritrovare sé stesso, persino la maglia della Svezia.

“Nacka” nella Sampdoria (a sinistra) e nel Palermo

Ma fu un’illusione. Gli eccessi presero il controllo, gli affetti si sgretolarono e la carriera finì nel silenzio. Gli ultimi anni li trascorse tra tentativi di disintossicazione e solitudine. Ogni tanto, dicevano, intratteneva i presenti con un suo vecchio gioco: lanciare una moneta in aria e centrarla con un colpo di tacco, facendola finire in tasca. Come se il talento fosse rimasto, anche quando tutto il resto se n’era andato.

Lennart Nacka Skoglund morì il 20 luglio 1975, a 46 anni. Una fine mesta per un uomo che per un decennio aveva illuminato i campi italiani. Rimane il ricordo di un artista imperfetto, capace di accendere gli stadi e allo stesso tempo di consumarsi lentamente, come una fiammata troppo intensa per durare.

Mario Bocchio

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