Gigi Polentes, il difensore che portò la sua terra fino allo Scudetto
Nov 21, 2025


Dalla provincia trevigiana alla Lazio del ’74: la storia di un uomo leale, silenzioso e tenace, diventato simbolo di una comunità

Polentes nel Perugia

C’era una volta un ragazzo di San Giacomo di Veglia, nel cuore del Vittoriese, che sognava il calcio senza immaginare fin dove l’avrebbero portato la sua disciplina e il suo carattere granitico. Luigi Polentes, nato il 12 ottobre 1944, apparteneva alla stirpe dei difensori d’altri tempi: piedi ruvidi, senso della posizione, marcature serrate e una serietà che non aveva bisogno di proclami. Prima stopper, poi terzino, non si risparmiava mai.

Cresciuto nel Vittorio Veneto, fece il salto tra i professionisti con l’Empoli in Serie C. Da lì iniziò una scalata silenziosa: Perugia, il passaggio tra i cadetti, e nell’autunno del 1969 la chiamata che gli cambiò la vita. La Lazio lo acquistò a campionato in corso, affidandogli un posto in un reparto arretrato che sarebbe diventato leggendario.

Il debutto in Serie A arrivò il 16 novembre 1969, in un Palermo-Lazio finito 1-1. In quella stagione mise a segno anche l’unico gol della sua carriera, il 5 aprile 1970, contro il Verona. Non era uomo da copertine, eppure il suo volto divenne familiare a una generazione di appassionati: baffi folti, sguardo severo, il cognome insolito stampato sulla figurina Panini. Un dettaglio che lo rese inaspettatamente iconico.

In biancoceleste rimase otto stagioni: 131 presenze complessive, la promozione dalla B al termine del 1971-’72, la Coppa delle Alpi del 1971 e, soprattutto, il tricolore del 1973-’74. In quello Scudetto, Polentes fu lo scudiero silenzioso di una squadra piena di personalità forti: dietro ai leader riconosciuti, accanto a nomi più appariscenti, lui garantiva affidabilità e spirito di gruppo. Mai una polemica, mai un passo fuori dal solco della disciplina.

Sulle figurine “Panini” in versione senza baffi

Chi ha vissuto quegli anni ricorda due immensi stopper davanti a lui, Giancarlo Oddi prima e Lionello Manfredonia poi. Polentes non reclamò mai spazio: serviva il gruppo, e lui c’era. Sempre. Era parte essenziale di quella Lazio che, in campo e fuori, viveva di complicità, scherzi, pullman condivisi e un equilibrio sottile tenuto insieme dalla dedizione di uomini come lui. Long John Chinaglia amava prenderlo bonariamente in giro per quei baffi scuri che non avrebbe mai rinunciato a tagliare.

In una formazione della Lazio: Polentes è il primo accosciato, da destra

Dopo l’ultima stagione in maglia biancoceleste, nel 1977, si trasferì a Modena e poi tornò a casa, nel suo Vittorio Veneto, per chiudere il cerchio calcistico nelle categorie dilettantistiche. Appesi gli scarpini, si reinventò viticoltore, costruendosi una vita serena tra la sua terra, le due figlie, i sei nipoti, la Lazio sempre nel cuore.

La sua morte, il 21 aprile 2011, arrivò troppo presto. Sessantasei anni, portati con l’umiltà di chi aveva dato tanto senza chiedere nulla. Vittorio Veneto lo ha ricordato come un figlio speciale: mostre, commemorazioni, e soprattutto l’intitolazione del campo di San Giacomo di Veglia, dove tutto era cominciato.

Gigi Polentes rimane così: un uomo serio, un difensore roccioso, un compagno leale. Un atleta che ha costruito la propria grandezza nel silenzio, lasciando dietro di sé un esempio limpido, raro, autentico.

Mario Bocchio

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