Roma, quando il cielo era biancoceleste
Nov 15, 2025


Nella città eterna che bruciava di passioni opposte, la Lazio di Maestrelli imparò a vincere coltivando fragilità, follia e fratellanza. Un romanzo di calcio e destino

Roma ai tempi della Lazio di Maestrelli era una città che respirava come uno stadio. Ogni mattina sembrava la vigilia di qualcosa: una sfida, una rissa, un sogno che stava per rompersi e ricomporsi. Il Tevere scorreva lento, ma la vita no. Era fatta di accelerazioni improvvise, di uomini che camminavano come se avessero un gol da segnare anche solo attraversando la strada.

Giorgio Chinaglia e Pino Wilson

Tommaso Maestrelli teneva insieme tutto questo con una calma che non apparteneva al suo tempo. In mezzo al rumore, lui aveva la voce bassa. Parlava ai suoi giocatori come un padre che conosce le crepe dei figli e le accarezza invece di nasconderle. La sua Lazio era un piccolo romanzo vivente: guerrieri, fragili, insofferenti, ma capaci di riconoscersi nello sguardo dell’altro. Non giocavano solo per vincere: giocavano per appartenersi.

Nelle “tumultuose” partitelle settimanali di allenamento

Sul campo, la città sembrava sospesa. Le domeniche dell’Olimpico erano incendi di bandiere, rabbia e poesia. Chinaglia avanzava come un eroe antico, lo stadio che si apriva davanti ai suoi passi; Re Cecconi correva leggero, con quella felicità che un giorno la sorte gli avrebbe tradito; Martini e Wilson erano colonne in un tempio che Maestrelli sapeva pregare meglio di chiunque altro.

Lazio-Foggia, la partita dello scudetto, in un tripudio di vessilli biancocelesti

E intanto Roma, la Roma che divide e moltiplica, guardava quei ragazzi salire verso lo scudetto come si guarda un miracolo che non osa chiamarsi tale. Il 12 maggio 1974 la città si svegliò diversa: più rumorosa, più viva, più biancoceleste. Maestrelli, uomo schivo, sapeva che il vero trionfo non era lo scudetto, ma aver portato pace in un gruppo che aveva più ferite che trofei.

Luciano Re Cecconi e Tommaso Maestrelli 

Furono anni brevi e irripetibili, come tutte le storie luminose. Roma li ha custoditi nei suoi vicoli, nei bar che ancora sussurrano nomi e gol, negli occhi di chi c’era e continua a ricordare. Perché la Lazio di Maestrelli non fu solo una squadra: fu un pezzo di destino scritto nel vento di una città che non dimentica mai chi l’ha fatta vibrare.

Mario Bocchio

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