Evert Skoglund, l’altra metà di Nacka: un figlio d’arte tra sogni nerazzurri e realtà di provincia
Nov 8, 2025


Dagli esordi con l’Inter alle stagioni tra Lecco, Lecce e Piacenza: la parabola di Evert Skoglund, primogenito del genio svedese Nacka, che dal calcio ha imparato soprattutto la sincerità

Essere figli d’arte, nel calcio, è come giocare in salita. Ogni pallone toccato rimbalza sul confronto con il padre, ogni gol mancato pesa il doppio. Evert Skoglund lo sa bene: è nato nel 1953 a Milano, figlio di Lennart “Nacka” Skoglund, la leggenda svedese dell’Inter anni ’50, e di Nuccia Zirilli, ex Miss Calabria. Da quel matrimonio tra un artista del pallone e una reginetta di bellezza, nacquero due figli: Evert e Giorgio. Entrambi provarono a inseguire l’eredità paterna, ma con destini diversi.

L’immensa classe di Karl Lennart Skoglund, detto “Nacka”

Evert crebbe nelle giovanili dell’Inter, mentre Giorgio scelse il Milan. “Fu mamma a decidere – racconta oggi da Lecce, dove vive in pensione -. Non voleva che ci ostacolassimo. Ma restammo sempre legatissimi”. Con l’Inter Evert arrivò in Serie A, debuttando nel 1972 all’Olimpico contro la Lazio. “C’erano settantamila persone, e io mi sentivo grande. Poi, però, ho capito che la lingua lunga nel calcio non paga”.

Giorgio Skoglund nel NAGC del Milan, nel 1970 (a sinistra) e sulle figurine “Panini” 1974-’75

Dopo poche presenze in nerazzurro, cominciò un lungo viaggio nelle serie minori: Sant’Angelo, Lecco, Lecce, Piacenza, Pro Patria e Latina. Ovunque lasciò un segno di qualità e carattere. Con il Lecco vinse una Coppa Italia di Serie C e una Coppa Anglo-Italiana; nel 1971, da ragazzo, aveva già sollevato con la Primavera dell’Inter il Torneo di Viareggio, insieme a futuri protagonisti come Oriali, Bordon e Mutti.

A Piacenza, dove restò quattro stagioni, trovò forse la sua dimensione più vera. “Erano i miei anni migliori – ricorda -. Giocavo con Fiorini, bastava passargli la palla e lui segnava. Se ci fosse stata la classifica degli assist, l’avrei vinta io”.

Tre maglie per Evert Skoglund. Partendo da sinistra: Inter, Lecco e Lecce

Il talento non gli mancava, ma Evert aveva un’altra dote meno apprezzata nel mondo del pallone: l’onestà. “Ho sempre parlato chiaro. Nel calcio serve anche un po’ di ipocrisia, ma non era nelle mie corde”.

Evert Skoglund in azione. Nel Sant’Angelo nella storica partita contro il Monza giocata a “San Siro” (a sinistra) e nel Piacenza

Oggi, lontano dai riflettori, vive serenamente a Lecce con la moglie. “Mi sono trasferito qui per stare lontano dal caos. Non ho rimpianti. Il calcio è stato una parte bellissima della mia vita, ma non l’unica”.

Evert nella Pro Patria: è il primo accosciato, da sinistra

Della Svezia paterna conserva i legami affettivi – “mi invitano ancora agli eventi dell’AIK” – ma non la lingua: “Sono italiano a tutti gli effetti, anche se mio padre in Svezia è ancora più famoso di Ibrahimovic”.

Due servizi sui fratelli Skoglund. Dalla “Gazzetta dello Sport Illustrata” del 1978 (a sinistra), e “Guerin Sportivo”, nel 1986

Nel suo racconto riaffiora un senso di equilibrio, di pace conquistata. Nessuna nostalgia per le luci di San Siro, nessuna rivalsa. Solo la consapevolezza di aver vissuto un percorso vero, tra campi di provincia e affetti sinceri. “Non mi sono mai fatto male in carriera – dice ridendo -. Sarebbe un peccato farlo adesso, giocando a calcetto”.

Evert Skoglund, figlio di un genio e uomo di semplicità, ha scelto la sua strada. Non la leggenda, ma la vita.

Mario Bocchio

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