Quando Galeone giocava
Nov 5, 2025

Storia di un talento libero, nato mezzala e diventato pensatore del calcio

Sarà per quell’orizzonte che invita a immaginare cosa si nasconde oltre la linea del mare, ma certe anime nascono già rivolte verso l’altrove. Giovanni Galeone apparteneva a quella stirpe inquieta, fatta di curiosità e disobbedienza. Con un cognome simile, il mare era destino.

Giovanni Galeone calciatore dell’Arezzo

Nasce a Napoli nel 1941, in una famiglia borghese che, pur tra le ristrettezze del dopoguerra, coltiva libri e opinioni forti. Il padre, ingegnere all’Ilva, è un liberale; la madre, monarchica, frequenta i salotti della Napoli bene. In casa si leggono Il Borghese, Evola e Guareschi: un ambiente colto ma conservatore, contro cui Giovanni imparerà presto a reagire.

Nella Nuorese 1963-’64. In piedi, da da sinistra: mister Tartara, Zaccheroni, Capelli, Sogus, Borghesi, Camporese e mister Mele. In basso, sempre da sinistra: Pinna, Moro, Mirtillo, Galeone e Stellino

Quando il padre viene trasferito a Trieste, il giovane Galeone scopre un mondo diverso: la frontiera orientale, le scritte bilingui, i profughi istriani e le donne che raccolgono carbon coke per scaldarsi. A Servola, quartiere popolare della ferriera, impara la strada, la solidarietà, il gioco. Gioca con i ragazzini dai cognomi slavi, si appassiona al basket portato dai soldati americani e al pallone, naturalmente. Lì, tra dialetti e carbone, nasce il suo primo amore vero: il calcio.

Calciatore dell’Udinese. Dietro di lui il portiere Zanier, capitano è Giacomini

Alla Ponziana dimostra talento e intelligenza tattica. È una mezzala con visione da regista, più artista che soldato: tecnico, elegante, insofferente alle regole. Con quella maglia, ancora dilettantistica, arriva persino a vincere l’Europeo juniores del 1958, da capitano dell’Italia che batte l’Inghilterra ad Highbury. In squadra ci sono Albertosi, Cera, Rosato, Facchetti e Corso: una generazione d’oro.

Sembra l’inizio di un’ascesa, invece comincia il giro d’Italia delle categorie minori: Monza, Arezzo, Avellino, Pesaro, Nuoro, Entella, Monfalcone. Nel 1966 approda all’Udinese, in Serie C, e lì rimane per sempre. A 32 anni, dopo l’ennesimo sogno di promozione sfumato, mantiene la promessa: “Se non saliamo, smetto”. E così fa.

Il Pordenone 1975-’76 guidato da Galeone, al debutto come allenatore

Non è un dramma. Galeone non è mai stato uno sportivo cieco alla vita. Legge Sartre e Brecht, frequenta i comizi di Pajetta e le manganellate dei cortei contro Almirante. Passa estati a Grado con Capello, Riva e Reja, tra sabbiature, partite in spiaggia e cene interminabili. È lì che incontra Pasolini: due intellettuali del pallone, attratti dallo stesso romanticismo popolare.

Con Pierpaolo giocavamo spesso”, ricordava. “Aveva un carisma naturale, un fascino che non cercava”.

L’Adriese 1976-’77 di mister Galeone

Galeone diventa allenatore e, da lì in avanti, filosofo del calcio. Dal Friuli al Pescara, dal 4-3-3 arioso e spregiudicato alle sue conferenze pungenti, porta avanti un’idea di gioco e di pensiero libera, irriverente, personale. È il maestro di Allegri, Giampaolo, Gasperini e di molti altri che gli devono più del semplice mestiere.

Nel campionato 1978-’79 Galeone è sulla panchina della Cremonese in C1. Venne esonerato e sostituito da Dante Fortini

Restò per tutta la vita legato al Friuli, dove possedeva una barca e trascorreva le estati. Era tornato da poco a salutare il Cjarlins Muzane, squadra di Serie D allenata da un suo allievo. L’uomo del mare, del dubbio e della libertà se n’è andato a 84 anni, lasciando in eredità un calcio che pensava, parlava e respirava come lui: libero, indisciplinato, umano.

Mario Bocchio

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