
Nel 1972 la piccola Repubblica Khmer arrivò tra le prime quattro d’Asia. Poi il silenzio, la guerra e la scomparsa di un’intera generazione di calciatori.
Oggi la Cambogia prova timidamente a ritrovare un posto nel panorama calcistico asiatico. Campionati più organizzati, stadi che si riempiono, volti nuovi provenienti dall’Africa che danno linfa al movimento locale. Eppure, dietro questa rinascita c’è una storia quasi dimenticata, quella di un calcio che negli anni Sessanta e Settanta seppe accendere speranze e orgoglio nazionale.
Fu il re Norodom Sihanouk, appassionato di sport e simbolo del rinnovamento culturale del paese, a spingere per la diffusione del calcio e per la creazione di una nazionale competitiva. Dopo la caduta della monarchia nel 1970 e la nascita della Repubblica Khmer, il pallone divenne paradossalmente un modo per restare uniti in un tempo di transizione.


Due anni dopo, nel 1972, la Cambogia scrisse la sua pagina più luminosa: la partecipazione alla Coppa d’Asia, ospitata in Thailandia. Le squadre partecipanti erano soltanto sei – Iran, Corea del Sud, Iraq, Kuwait, Thailandia e Cambogia – ma per i khmer fu un traguardo storico. Dopo una sconfitta iniziale contro la Corea, arrivò una clamorosa vittoria per 4-0 sul Kuwait, che valse la semifinale.

Lì i cambogiani affrontarono l’Iran, dominatore del continente. Persero 2-1, ma uscirono tra gli applausi: quella prestazione, in Iran, è ricordata ancora oggi come una delle più sorprendenti del torneo. La Cambogia chiuse poi quarta, superata ai rigori nella finale per il terzo posto.



Il 1973 regalò un’altra impresa, con la vittoria nella President’s Cup in Corea del Sud, competizione internazionale di prestigio in quegli anni. A incarnare la passione e il talento di quella nazionale c’era Doeur Sokhom, attaccante dal carisma travolgente, di cui oggi restano soltanto pochi frammenti di memoria.





Poi arrivò il buio. Con la presa del potere dei Khmer rossi di Pol Pot, la Cambogia sprofondò nell’incubo. Archivi distrutti, vite cancellate, sport banditi. Molti dei protagonisti di quell’epopea calcistica sparirono nel nulla. Di Sokhom si dice sia morto nel 1975, a 37 anni.


Fra i pochi a sopravvivere e rifarsi una vita all’estero c’è Pen Phath, nato nel 1948 a Kampong Cham. Dopo aver esordito giovanissimo nella nazionale cambogiana, emigrò in Thailandia, dove vinse due campionati con il Rajpracha, per poi proseguire la carriera in Francia con il Paris FC. Lì trovò stabilità e, col tempo, cittadinanza e famiglia.


Quando il regime cadde, la Cambogia dovette ricominciare da zero. Il calcio tornò solo negli anni Ottanta, e il professionismo vero arrivò nel nuovo millennio. Ma il ricordo del 1972 resta ancora oggi un faro fragile nella memoria collettiva di un paese che ha perso troppo, e che ora cerca nel pallone una nuova speranza.
