Dove il mare incontra lo scudetto: il miracolo del Mjällby
Ott 28, 2025

In un villaggio di pescatori affacciato sul Baltico, meno di duemila anime hanno riscritto la geografia del calcio europeo

C’è un piccolo stadio che guarda il mare e una curva che profuma di sale. Lo Strandvallen, in certe giornate di vento, si riempie di spruzzi d’acqua come un porto in tempesta. Da lì, dal nulla di un villaggio di appena millecinquecento abitanti sulla costa sud della Svezia, è arrivato l’urlo che ha scosso tutto il calcio del Nord: il Mjällby è campione di Svezia.

I tifosi allo stadio “Strandvallen”


Un titolo che suona come un paradosso. Perché fino a pochi anni fa questa squadra si dibatteva tra le onde della Serie C, a un passo dal fallimento. Oggi, invece, ha strappato lo scettro alle potenze di Malmö, Göteborg e Stoccolma, chiudendo una stagione quasi perfetta: venti vittorie, una sola sconfitta, la miglior difesa del campionato. Un’impresa che non è il “Leicester svedese” – troppo comodo il paragone – ma qualcosa di ancora più intimo e improbabile: il trionfo di un paese che ha meno abitanti di un condominio di periferia.

L’urlo che ha scosso tutto il calcio del Nord: il Mjällby è campione di Svezia



A rendere il tutto ancora più incredibile è la genesi di questa favola.


Il Mjällby nasce nel 1939 dall’idea di un contadino, Axel Bengtsson, che vendette un pezzo di terra per costruire un campo a cinquanta metri dalle onde del Baltico. Lo chiamarono “Strandvallen”, la riva della spiaggia. Da allora, in quel rettangolo d’erba battuto dal vento si è giocato con la tenacia di chi pesca nelle notti d’inverno: con le mani gelate ma il cuore caldo.

La “rosa” Mjällby nel 1979


Oggi quel sogno porta la firma di tre uomini: il presidente Magnus Emeus, manager formato in Giappone che ha trasformato il club applicando la filosofia kaizen, la cultura del miglioramento continuo; il direttore sportivo Hasse Larsson, ex centrocampista e agricoltore di fragole, che ancora diffida dei computer; e l’allenatore Anders Torstensson, professore di Scienze dello Sport a Malmö, diventato allenatore a tempo pieno per fede, non per carriera.

Siamo negli anni Ottanta

Insieme hanno costruito un modello di calcio contadino e futurista allo stesso tempo: disciplina, equilibrio, comunità. Il Mjällby è diventato un simbolo di ciò che il calcio industriale ha smarrito: il legame con la propria terra.

L’orgogliosa eredità di Axel Bengtsson continua senza dubbio a vivere



A Hällevik non ci sono grattacieli, non ci sono sponsor miliardari, non ci sono centri commerciali. C’è solo il profumo del pesce affumicato e un manipolo di uomini che hanno deciso di credere che tutto è possibile, anche far tremare il Baltico con un gol in rovesciata.

In un’epoca in cui il pallone è spesso un business senz’anima, la piccola Mjällby ha ricordato al mondo che la poesia del calcio può ancora nascere ai margini delle mappe, dove il mare bagna un campo e la speranza sa di vento e sale.

Mario Bocchio

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