Quique Wolff, il signore della fascia e l uscita “anticostituzionale”
Ott 27, 2025

Capitano dell’Argentina al Mondiale del 1974, doppio campione di Spagna con il Real Madrid e poi volto iconico del giornalismo sportivo, Enrique Wolff ha vissuto una carriera segnata dal talento, dalla coerenza e da un paradosso legale che lo costrinse a lasciare il club blanco nonostante fosse cittadino spagnolo

Come laterale e anche come difensore centrale, Enrique Ernesto Wolff Dos Santos, detto Quique,nato a Victoria, provincia di Buenos Aires, il 21 febbraio 1949, brillò per tecnica, visione di gioco, intelligenza tattica e velocità. Iniziò come attaccante, ma la sua versatilità lo portò presto ad arretrare, diventando uno dei difensori più eleganti e affidabili del calcio argentino negli anni Sessanta e Settanta.

Enrique “Quique” Wolff nel Racing Club (a sinistra) e nel River Plate

Nel 1967, l’allora tecnico del Racing Club, Juan José Pizzuti, lo volle in squadra. Wolff però gli rispose che prima doveva finire la scuola. “Bene, quando si diploma, lo aspetto qui”, replicò Pizzuti. Così cominciò la sua storia nel Racing, dove vinse, convinse e segnò 31 gol in 165 partite. Nel 1972 passò al River Plate, dove continuò a distinguersi fino a spiccare il volo verso l’Europa.

Nel 1974 approdò al Las Palmas, in Spagna, dove fu protagonista per tre stagioni accanto a grandi connazionali come Brindisi, Carnevali e Morete. Due anni più tardi ottenne anche la nazionalità spagnola, ma quella doppia appartenenza gli avrebbe poi giocato un crudele scherzo.

Con l’Albiceleste

Nel 1977 fu il Real Madrid a bussare alla sua porta. A interessarsi a lui fu Pirri, che gli parlò dopo un match tra Las Palmas e i blancos: “El Madrid te quiere”. Wolff non esitò. “Era impossibile dire di no a un club così”, avrebbe ricordato anni dopo. Arrivò nella capitale insieme a Stielike e Juanito, in un gruppo che riuniva figure leggendarie come Camacho, Santillana, del Bosque e Pirri.

In Spagna nel Las Palmas


Nei due anni con il Real vinse due campionati e una Coppa del Re, lasciando il segno per sobrietà e rendimento costante. Nel ricordo di quei giorni, Wolff ha sempre evocato con emozione la figura del presidente Santiago Bernabéu: “Entrava nello spogliatoio e tutti ci alzavamo in piedi. Aveva un magnetismo speciale. Una volta, prima del Clásico, ci disse soltanto: ‘Chi non ha coraggio, non giochi’. Vincemmo 4-0”.

Wolff, a sinistra, e Roberto Martínez, a destra, con le loro compagne, sul circuito automobilistico di Jarama



Tuttavia, nell’estate del 1979, nonostante fosse ormai spagnolo a tutti gli effetti, fu costretto a lasciare il club. Una norma varata nel 1975 limitava a due il numero di stranieri per squadra e considerava “non convocabili per la nazionale” anche i naturalizzati che avessero già rappresentato un altro Paese. La legge era in contrasto con la Costituzione spagnola, entrata in vigore nel 1978, che garantiva uguaglianza di diritti. Eppure il Consejo Superior de Deportes e la Federación Española mantennero il divieto.

Wollf e Juan Antonio Carro, un giornalista di “Marca” che morì mesi dopo in un incidente stradale



“È ingiusto, antidemocratico e anticostituzionale – denunciò Wolff -, ma non cambieranno nulla. È triste dover lasciare il miglior club del mondo per una norma simile”.

Così tornò in Argentina, prima all’Argentinos Juniors, dove condivise lo spogliatoio con un giovanissimo Maradona, poi al Tigre, dove chiuse la carriera. In nazionale aveva collezionato 29 presenze e un gol, partecipando da capitano al Mundial 1974 in Germania, nominato tale da Omar Sívori: “Un capitano non serve solo per portare la fascia, ma per guidare i compagni”, gli disse il mito italoargentino.

In una formazione del Real Madrid. Wolff è il penultimo dal basso a sinistra verso destra



Terminata la carriera, Wolff intraprese con successo quella giornalistica. Laureato in Scienze della Comunicazione, divenne un volto storico di ESPN con il suo programma “Simplemente Fútbol”, un viaggio settimanale nell’anima del gioco, tra interviste e poesia, che gli valse riconoscimenti e l’affetto del pubblico latinoamericano.

A 75 anni, tornato in Spagna per rivedere la famiglia e visitare il nuovo Bernabéu, Wolff si è detto emozionato: “È una meraviglia. Mi sento felice di aver fatto parte di una storia così grande”.



E quando gli chiedono di scegliere tra Maradona e Messi, sorride e risponde come un vero cavaliere del fútbol: “Non si può scegliere tra due geni. Messi è il più grande degli ultimi anni, come Diego lo fu nel suo tempo. Entrambi fanno parte della nostra fortuna come argentini”.

Mario Bocchio

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