Cascarilla, il tocco di seta di Montevideo
Ott 25, 2025

Dal Racing al Nacional, fino ai fasti d’Europa con l’Austria Vienna: la storia di Julio César Morales, l’uomo dal sinistro magico che riportò l’Uruguay sul tetto del mondo

Era nato a Montevideo, in una mattina d’estate del 16 febbraio 1945, e il destino gli aveva regalato un piede sinistro che valeva più dell’oro. Julio César Morales, per tutti “Cascarilla”, non era solo un’ala sinistra: era un artista, un pittore del calcio che usava la palla come pennello e il campo come tela.

Nel Nacional nella finalissima della Coppa Intercontinentale, vinta contro il Nottingham Forest


Debuttò a soli sedici anni nel Racing, dove bastarono poche partite per far capire che quel ragazzo aveva qualcosa di speciale. Aveva leggerezza, intuizione, un tocco che sembrava carezzare la sfera e poi, all’improvviso, la trasformava in un proiettile impossibile da leggere per i portieri. Dopo tre stagioni, nel 1965, arrivò la chiamata che gli avrebbe cambiato la vita: il Nacional.

Con la maglia bianca dei tricolores, “Cascarilla” vinse tutto. Cinque campionati uruguayani – tra cui un leggendario tetracampeonato dal 1969 al 1972 – e, soprattutto, la gloria internazionale: la Copa Libertadores e la Coppa Intercontinentale nel 1971, seguite dalla Copa Interamericana nel 1972. In quegli anni, il Nacional era una squadra invincibile, e lui ne era il motore poetico, l’ala che apriva i cieli con la sua sinistra.

Julio Morales nell’Austria Vienna


Poi arrivò il tempo dell’avventura. Nel 1973 partì per l’Austria, terra di Mozart e valzer, per vestire la maglia dell’Austria Vienna. L’impatto non fu facile: un infortunio lo tenne lontano dal debutto e, per un momento, sembrò che il richiamo di casa fosse più forte. Ma Morales non era tipo da arrendersi. Quando tornò in campo, lo fece come un direttore d’orchestra: due campionati vinti (1976 e 1978), due coppe nazionali (1974 e 1977) e una finale europea, la Recopa del 1978, persa contro l’Anderlecht. Ma l’Europa aveva scoperto il suo talento, tanto che in Austria lo chiamavano “il Pelé bianco”.

Quando decise di tornare in Uruguay, gli offrirono un assegno in bianco per restare. Lui sorrise e disse di no. Il richiamo del Nacional era più forte del denaro, più forte persino della fama. Secondo la leggenda, al suo rientro, il Peñarol stava per ingaggiarlo ma non mandò nessuno ad accoglierlo in aeroporto. Bastò un colpo d’astuzia del presidente del Nacional, Miguel Restuccia, e “Cascarilla” tornò a casa, dove era sempre appartenuto.

Morales con Ruben Paz e Fernando Álvez al Mundialito del 1980



Il 1980 fu il suo anno della rinascita. Con due gol in un Clásico memorabile, Morales regalò al Nacional la qualificazione alla Libertadores e negò a Peñarol ogni speranza. Da lì in poi, la magia si compì di nuovo: Uruguayo, Libertadores e Intercontinentale. La “Triple Corona”. Quando appese gli scarpini nel 1982, lo fece come si chiude un romanzo perfetto: al culmine della leggenda.

Con la Celeste, Morales disputò 24 partite e segnò 11 gol. Tra questi, uno rimane inciso nella storia: il rigore contro l’Italia nella Copa de Oro del 1980-’81 – il “Mundialito” – che aprì la strada al successo firmato poi da Victorino. In finale, l’Uruguay batté il Brasile e tornò a guardare il mondo dall’alto, come ai tempi di Obdulio Varela e Schiaffino.



Julio César “Cascarilla” Morales non fu mai un calciatore qualunque. Fu un poeta del sinistro, un uomo che faceva sembrare facile ciò che per gli altri era impossibile. Quando il pallone lasciava il suo piede, sembrava che il tempo si fermasse. E forse, per chi lo ha visto giocare, ancora oggi si ferma un po’.

Mario Bocchio

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