
Dai Mondiali con la Seleção alle polveri dell’Interregionale: la parabola umana e sportiva di Dirceu José Guimarães, talento errante che fece dell’Italia del Sud la sua casa
Il 15 settembre 1995 il calcio mondiale si fermò di colpo. In un incidente stradale, alle porte di Rio de Janeiro, moriva Dirceu José Guimarães, uno dei giocatori più carismatici e imprevedibili della generazione post-Pelé. Aveva solo 42 anni, e con lui se ne andava lo spirito libero di un uomo che non aveva mai voluto appartenere a un solo posto.
Il soprannome, zingaro del pallone, non era un’etichetta giornalistica, ma una verità esistenziale. Aveva vestito maglie in tre continenti, segnato ai Mondiali, giocato accanto a leggende, ma fu una piccola città della Campania – Eboli – a diventare la sua ultima casa, il luogo dove trovò serenità dopo una vita di spostamenti e trionfi.

Nato nel 1953 a Curitiba, figlio di un operaio e di una madre energica che lo spingeva a studiare, Dirceu mostrò da bambino un talento naturale per il pallone. A tredici anni entrò nel vivaio del Coritiba, a diciotto vestì la maglia della nazionale militare, e a venti già segnava ai Giochi Olimpici di Monaco 1972.

Proprio con i soldi del trasferimento in Messico, Dirceu comprò il campo dove da bambino giocava scalzo e costruì cinque palazzine, una per ogni membro della sua famiglia: un gesto che racconta molto di più dei suoi gol.
Poi arrivò l’Europa. Prima l’Atlético Madrid, poi l’Italia: Verona, Napoli, Ascoli, Como, Avellino. Ovunque lasciò ricordi e sorrisi. Quando Maradona sbarcò a Napoli, lui fece un passo indietro con eleganza, scegliendo di cercare altrove un’altra sfida.

La chiamata di Luigi Cavaliere, presidente dell’Ebolitana, arrivò nel 1989. La proposta suonava folle: giocare in Serie D, in un piccolo stadio di provincia, per provare a portare una squadra dilettantistica nei professionisti. Dirceu accettò, attratto più dalla curiosità che dal denaro.
Il giorno della presentazione fu un evento storico: tribune piene, bambini arrampicati alle reti, applausi per ogni tocco di palla. Dirceu, con un pallone tra i piedi, sembrava un artista tornato a dipingere per piacere, non per mestiere.

A Eboli non fu solo un calciatore. Rinnovò gli spogliatoi a sue spese, regalò nuove divise con i colori del Brasile, giocò anche nel campionato di calcio a 5, si sedette ai tavolini dei bar, parlava con tutti. Per due anni fu l’anima della città, segnando quattordici reti e unendo sotto lo stesso entusiasmo generazioni di tifosi.

Nel 1995, mentre organizzava una tournée calcistica in Brasile con un giovane difensore campano, proprio dell’Ebolitana, Pasquale Sazio, la sorte lo colpì all’improvviso. Un’auto fuori controllo invase la loro corsia: entrambi persero la vita.
Da allora, Eboli non ha dimenticato. Nel 2001, quando venne inaugurato il nuovo stadio cittadino, nessuno ebbe dubbi su quale nome portasse: José Guimarães Dirceu. Un omaggio non solo al campione, ma all’uomo che seppe far innamorare una città intera del suo modo di vivere il calcio: semplice, umano, e infinitamente libero.
Mario Bocchio