
Dalle medaglie del 1913 ai trofei del Peñarol, l’arte nativista di Belloni raccontò il carattere, la fierezza e l’identità del Paese campione del mondo
Il calcio e la scultura come specchio di una nazione. Nel primo Novecento, mentre il calcio diventava il linguaggio comune del popolo uruguayano, l’arte di José Belloni trovava nelle figure del gaucho e del cavallo la forma plastica dell’identità nazionale. Due mondi apparentemente lontani – lo sport e la scultura – si fusero in un’unica narrazione patriottica, in cui la forza e la dignità del popolo “oriental” si fecero immagine.

Il 1930 segnò una doppia consacrazione: il trionfo della “Celeste” al primo Mondiale della storia, nel nuovo Estadio Centenario, e la nascita de La Carreta, monumentale bronzo di Belloni eretto a pochi metri dallo stadio. Tra cemento e bronzo, il Paese mostrava al mondo la sua modernità e la sua fierezza rurale.

Dai trofei alle alleanze: il linguaggio del bronzo. Belloni divenne presto l’artista di riferimento dell’ Asociación Uruguaya de Fútbol e del Club Atlético Peñarol. Già nel 1913 aveva vinto il concorso per le medaglie della neonata Lega, ma fu nel dopoguerra che la sua arte si intrecciò stabilmente con la gloria calcistica.

Nel 1956, il trofeo del Campeonato Sudamericano – la scultura Nuevos Rumbos – incarnò un messaggio politico oltre che sportivo: un gaucho e la sua compagna guardano l’orizzonte, simbolo dei “nuovi cammini” nei rapporti tra Uruguay e Argentina dopo anni di tensioni diplomatiche.

Pochi anni dopo, il Peñarol, all’apice del suo splendore, trasformò le opere di Belloni in ambasciatrici culturali. Nel 1961 regalò al club peruviano Universitario e poi al River Plate di Buenos Aires una scultura in bronzo, Caballo corcoveando con jinete: il cavallo indomito e il gaucho che non cade, metafora perfetta della fierezza e della resistenza uruguagia.

L’arte del campo e l’arte del popolo. Negli anni Sessanta, ormai anziano, Belloni continuò a lavorare per il calcio. Per la Asociación Uruguaya de Fútbol creò i trofei Pial de volcao e Los dos Amigos, entrambi vinti dal Peñarol nel 1964. Nel primo, un gaucho immobilizza un cavallo con il lazo; nel secondo, due uomini si stringono la mano, unendo onore e sfida: pace e competizione fuse nello stesso gesto.

Quelle opere, come i monumenti di Montevideo – El Entrevero, El Aguatero, La Diligencia -, restituivano attraverso la scultura il carattere profondo dell’Uruguay: il coraggio, la lealtà, la fatica, l’amicizia.
Belloni, poco prima di morire, riassunse con semplicità la sua visione: “Vengo dal popolo e mi sento bene con lui”.
Nel bronzo dei suoi gauchos e nei trofei alzati dai campioni, quell’affermazione continua a vivere come la più autentica celebrazione dell’anima uruguaiana.
Mario Bocchio