
Difensore instancabile e simbolo di un calcio di fatica e orgoglio, “El Mudo” costruì la sua leggenda tra Montevideo, l’Europa e i Mondiali con l’Uruguay
Nato a Montevideo il 20 aprile 1944, Julio Walter Montero Castillo – per tutti “El Mudo” – appartiene a quella stirpe di calciatori che fecero del sacrificio una virtù. Difensore di temperamento, coriaceo e intelligente nella posizione, fu una delle anime più solide del calcio uruguaiano tra gli anni Sessanta e Settanta.
Cominciò nel Liverpool di Montevideo, dove debuttò tra i professionisti nel 1964, ma il suo destino era scritto con i colori del Nacional. Due anni dopo, nel 1966, approdò al club tricolor, diventandone presto una colonna insostituibile. Con la maglia dei Bolsos collezionò quasi cinquecento presenze, vincendo tutto ciò che un calciatore uruguaiano potesse sognare: sei campionati nazionali, la Copa Libertadores e la Coppa Intercontinentale del 1971, oltre alla Coppa Interamericana dello stesso anno.


Julio Walter Montero Castillo
Fu una stagione memorabile, culminata con i trionfi su Estudiantes e Panathinaikos. “Le partite contro l’Estudiantes erano battaglie di cuore e coraggio”, ricordava anni dopo. “Loro picchiavano, noi pure. Ma c’era rispetto, e tanta garra”.


“El Mudo” con l’Uruguay nei suoi due Mondiali: nel 1970 in Messico (a sinistra) e in Germania Ovest nel 1974
La sua leadership non si limitò al Nacional: Montero vestì anche la maglia della Celeste in 44 occasioni ufficiali, segnando una rete. Con l’Uruguay vinse il Sudamericano del 1967 e fu protagonista del Mondiale 1970 in Messico, dove la nazionale di Juan Hohberg chiuse al quarto posto. In quella squadra, insieme a Rocha, Cubilla e Maneiro, Montero era il motore silenzioso, il giocatore che correva e copriva per tutti. Quattro anni dopo, in Germania, disputò un solo incontro, contro l’Olanda di Cruyff, terminato con la sua espulsione.

Nel 1973 lasciò il Nacional per una breve parentesi in Argentina con l’Independiente, dove aggiunse un’altra Libertadores al suo palmarès, anche se da riserva. Poi arrivò la Spagna: due stagioni con il Granada, tra il 1974 e il 1976, 64 partite in Liga, e infine il ritorno a casa per chiudere il cerchio con il Nacional, fino al ritiro nel 1978.

Montero Castillo era un simbolo di un calcio ormai scomparso: ruvido, leale, operaio. “Ero un lavoratore del pallone diceva con orgoglio. “A volte picchiavo, sì, ma per proteggere la squadra. Il centrocampo era il cuore, e io dovevo farlo battere”.

Di lui restano il ricordo di un uomo schivo ma leale, di un capitano senza clamori, e l’immagine di un guerriero che correva per la maglia e per un Paese intero. Perché “El Mudo”, pur parlando poco, seppe raccontare il calcio uruguaiano meglio di chiunque altro: con la voce del sacrificio, del coraggio e della passione.
Mario Bocchio