
Dai campi polverosi dell’Olt alla gloria con la “Campioana unei mari iubiri”: storia del “Cannone” che divenne leggenda e morì lontano da casa, con il nome inciso per sempre nel bronzo di Craiova
Ion Oblemenco non è stato soltanto un calciatore: per Craiova è diventato un sentimento, una voce collettiva che ancora oggi riecheggia sugli spalti di Bănie.
Nato il 13 maggio 1945 a Corabia, figlio di un modesto impiegato e di una terra aspra e passionale come l’Oltenia, crebbe tirando calci a palloni sdruciti tra le polveri del fiume Olt. A sedici anni la Ştiinţa Craiova lo rifiutò: “Non è pronto”, dissero. Ma lui tornò, qualche anno più tardi, deciso a dimostrare che il destino si può piegare alla forza della volontà.


Oblemenco con la maglia dell’Universitatea Craiova
Dopo brevi esperienze con il CSO Craiova, il Tractorul Corabia e il Rapid Bucarest, nel 1966 Oblemenco vestì finalmente la maglia bianco-blu dell’Universitatea Craiova. Da allora, la città e il giocatore divennero inseparabili. Il suo sinistro, potente come un tuono – da cui il soprannome Tunarul, il Cannone – faceva tremare i portieri e infiammava gli spalti. In dodici stagioni segnò 170 reti in 272 partite, vinse quattro volte la classifica marcatori (1967, 1970, 1972, 1973) e nel 1974 regalò al club il primo storico titolo nazionale.

Fu l’eroe di un popolo calcistico e il simbolo del Sud che non si arrende. Eppure, la nazionale lo ignorò: “Non si integra nel meccanismo”, disse l’allora commissario tecnico Angelo Niculescu. Ma Craiova, la “Campioana unei mari iubiri”, non ebbe bisogno di altri per incoronare il suo re.

Nel 1972 sfiorò la morte per un’ulcera perforata, ma tornò più forte e vinse ancora la classifica dei cannonieri. Ritiratosi nel 1978 dopo una parentesi al FCM Galați, passò in panchina: da allenatore portò la Craiova al primo “double” della sua storia nel 1981 e fino ai quarti di Coppa dei Campioni, dove solo il Bayern Monaco spense il sogno europeo.

Poi vennero gli anni difficili. L’Universitatea, la sua casa, lo dimenticò, arrivando perfino a togliergli l’appartamento che gli era stato assegnato. Gli articoli velenosi e le accuse ingiuste lo ferirono più di qualsiasi contrasto in campo. “Non ha mai sofferto tanto”, ricordò la moglie Margareta.
Nel 1996 partì per il Marocco, alla guida dell’Hassania Agadir, sperando in una nuova avventura. Ma il destino lo colpì all’improvviso: il 1 settembre, durante un’amichevole, dopo un gol annullato ai suoi, sussurrò “Mi fa male tutto…” e crollò in panchina. Morì poco dopo, a 51 anni.

Il 7 settembre la città lo accolse di nuovo, stavolta in silenzio e in lacrime. Oggi gli stadi di Craiova e Corabia portano il suo nome, e una statua davanti a Bănie lo ritrae mentre calcia ancora, per sempre, verso la porta del destino.
Ion Oblemenco: il cuore che continua a battere nel bronzo del calcio olteno.
Mario Bocchio