
Quattro città, quattro colori e una stagione irripetibile del calcio italiano
C’erano un tempo campi polverosi, palloni di cuoio che si inzuppavano di pioggia e maglie pesanti che restavano addosso come armature. Non c’erano televisioni né telecronache, soltanto il brusio della gente che arrivava in bicicletta con la “schisceta” sotto braccio e la speranza di veder vincere i propri ragazzi. Era il tempo in cui il calcio italiano parlava piemontese.

Non Torino, non Milano, non Genova. Ma le città di provincia: Vercelli, Alessandria, Casale Monferrato e Novara. Quattro piazze che tra il 1908 e i primi anni Venti furono il cuore pulsante del nostro football. Le cronache dell’epoca le battezzarono “il Quadrilatero piemontese”, in ricordo della fortezza austriaca assediata da Carlo Alberto, ma qui non si trattava di cannoni: erano gambe robuste, muscoli e cuore.

La Pro Vercelli vinse sette scudetti, il Casale interruppe l’egemonia delle grandi città nel 1914, Alessandria e Novara diedero battaglia a tutti, diventando scuole di calcio, fucine di campioni, persino modelli tattici. Nella Nazionale di allora intere formazioni erano fatte a blocchi: nove vercellesi in campo contro il Belgio nel 1913, con Ara che segnò il primo gol azzurro su punizione. E poi i fratelli Gallina e Parodi a Casale, Ferrari e Baloncieri ad Alessandria, Piola e Monzeglio tra Novara e Casale, Rosetta e Caligaris partiti da Vercelli per diventare colonne della Juventus e della Nazionale.

Erano uomini che giocavano “maschio”, come scrissero i giornali: terreno bagnato apposta per rendere il duello più rude, capitani che si rimboccavano le maniche come a dire “veniteci a prendere”. Sembrava rugby, sembrava battaglia, era calcio primitivo ma vero.
Il Quadrilatero ebbe il suo apogeo tra il 1908 e il 1922, con otto scudetti portati in città che oggi vivono di ricordi. Vercelli, Casale, Alessandria e Novara non seppero reggere all’arrivo del professionismo: con l’avvento del girone unico nel 1929 iniziarono a scivolare indietro, fino a diventare oggi realtà di Serie C o addirittura di dilettanti. Ma per un ventennio dettarono legge.

E se oggi il 2 ottobre il Piemonte celebra ufficialmente la loro epopea, non è per nostalgia sterile: è perché quelle maglie – bianca della Pro, grigia dell’Alessandria, azzurra del Novara, nera con stella bianca del Casale – raccontano un’epoca in cui il calcio era passione pura.
Una fiaba finita il giorno in cui Edoardo Agnelli, giovane presidente della Juventus, decise di comprare Rosetta per cinquantamila lire. Il professionismo entrava in scena, la provincia arretrava, i grandi club iniziavano a costruire i loro imperi. Ma il Quadrilatero rimane, come leggenda, come memoria, come il tempo in cui il calcio italiano aveva ancora il profumo della terra bagnata.
Mario Bocchio
Il disegno è di Alberto Ravetti