“Il calcio mi ha salvato dal genocidio”
Set 30, 2025

La storia di Eric Eugène Murangwa, il portiere del Rwanda riconosciuto dai carnefici grazie a una foto di squadra

Eric Eugène Murangwa, portiere della nazionale rwandese e capitano del Rayon Sport, ha vissuto l’inferno del genocidio del 1994. Il 7 aprile, poche ore dopo l’abbattimento dell’aereo del presidente Habyarimana, un gruppo di soldati irruppe in casa sua. Lo accusavano di mentire quando affermava di giocare per il Rayon Sports. Era già destinato alla morte, quando un album fotografico cadde a terra: in quelle immagini, i militari lo riconobbero come “Toto”, il giovane portiere amato dai tifosi. Quella coincidenza gli salvò la vita.

Eric Murangwa Eugene in azione per il Ruanda allo stadio “Nakivubo” nella capitale ugandese Kampala


Non fu l’unico episodio. Nei giorni seguenti furono i suoi compagni di squadra a proteggerlo, rischiando tutto: negoziarono con le milizie, lo nascosero, arrivarono perfino a corrompere i carnefici con soldi e divise di calcio. “Quello che fecero per me – ricorda – è la ragione per cui sono sopravvissuto. In quei giorni capii che lo sport ti insegna a restare umani”.

Eric Eugène Murangwa con Rayon Sports nel 1992


La tragedia segnò la sua famiglia: sei zii e il fratellino di sette anni furono uccisi. E anche Longin Munyurangabo, l’amico che più lo aveva protetto, venne catturato e non tornò più.

L’ex portiere del Ruanda Eric Murangwa Eugene quando giocvava



Dopo il genocidio Murangwa giocò ancora con la nazionale, ma nel 1996 scelse l’esilio in Inghilterra. Oggi vive a Londra e ha fondato associazioni come Football for Hope, Peace and Unity e Dream Team Academies, che usano il calcio per promuovere riconciliazione, educazione e rispetto. Racconta la sua storia nelle scuole, per combattere odio e discriminazioni.

Eric Murangwa Eugene e i suoi compagni di squadra del Ruanda si preparano per una partita


“È bello se il calcio abbia prodotto campioni come Ronaldo o Messi – dice – ma al mondo servono soprattutto più persone come Longin, capaci di restare umane quando tutto intorno invita alla barbarie”.

Mario Bocchio

Condividi su: