Flórián Albert, l’Imperatore dimenticato
Set 29, 2025

Il Pallone d’Oro ungherese che incantò il mondo e pagò il prezzo più alto agli infortuni

A 28 anni la carriera di un calciatore dovrebbe toccare il suo vertice: forza, esperienza, visione di gioco. Per Flórián Albert, invece, quell’età fu il momento più drammatico. Era il 15 giugno 1969, qualificazioni mondiali in Danimarca: un’uscita del portiere avversario gli spezzò la gamba. Un infortunio grave, che lo costrinse a fermarsi quasi un anno e che gli tolse qualcosa per sempre.

Al Mondiale del 1966 in Inghilterra, affrontato dal portiere del Portogallo



Albert, che nel 1967 aveva vinto il Pallone d’Oro battendo mostri sacri come Charlton, Beckenbauer ed Eusebio, non sarebbe più tornato il giocatore ammirato in tutto il mondo. Riuscì ancora a vincere con il Ferencváros la Coppa d’Ungheria e a giocare gli Europei del 1972, ma il talento che aveva stregato il pubblico inglese nei Mondiali del 1966 non sarebbe più stato lo stesso. Nel 1974, a 33 anni, chiuse la carriera con il club della sua vita, le “Aquile Verdi” del Ferencváros.

Figlio di contadini di Hercegszántó, rimasto orfano di madre da bambino, Albert crebbe nei campetti di Budapest. A undici anni fu accolto nelle giovanili del Ferencváros, e a 17 debuttò in prima squadra segnando due reti. Da lì iniziò un percorso straordinario: tre volte capocannoniere in patria, miglior marcatore ai Mondiali del Cile 1962, leader di una Nazionale capace di battere il Brasile di Garrincha e Gerson a Goodison Park nel 1966. Giocava da attaccante ma si trasformò presto in regista offensivo, “centravanti di manovra” in grado di dettare i tempi e creare spazi per compagni come Ferenc Bene.

Flórián Albert con il Pallone d’Oro



“L’Imperatore”, come lo chiamavano i tifosi, fu anche l’unico ungherese a ricevere il Pallone d’Oro. Un premio che arrivò quasi in sordina, consegnato in cucina davanti alla moglie, perché il commissario tecnico non volle che la cerimonia si svolgesse allo stadio. Albert stesso ridimensionò quell’onore con parole lucide: “Se fosse esistito negli anni ’50, il Pallone d’Oro sarebbe rimasto solo in Ungheria”.

Albert nel Ferencváros (a sinistra) e nell’Ungheria

Nella sua carriera segnò 258 reti con il Ferencváros e 31 in 75 presenze con la Nazionale. Amato per l’eleganza e la visione di gioco, lasciò un’eredità speciale al popolo magiaro. Alla sua morte, nel 2011, migliaia di tifosi riempirono lo stadio con candele e silenzio, mentre i giocatori scesero in campo in nero con uno striscione: “Dio ora è vicino a te, Imperatore”.



Flórián Albert resta così: l’ultimo grande erede della scuola ungherese, un Pallone d’Oro poco celebrato ma capace di incantare il mondo con la sua grazia.

Mario Bocchio

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