
Come il Trap trasformò la Juventus in leggenda tra scudetti, Coppe e campioni indimenticabili
Il 1976 segnò l’inizio di un’era straordinaria per la Juventus. Giovanni Trapattoni, ex giocatore dal temperamento tranquillo ma determinato, arrivò a Torino dopo esperienze alterne con il Milan, accolto con diffidenza dai tifosi ma con grandi aspettative dal club. La sua scelta fu comunicata in modo quasi burocratico, ma presto il tecnico lombardo avrebbe conquistato tutti con la sua leadership discreta e il celebre fischio per richiamare l’attenzione dei giocatori.

Con scelte di mercato mirate, come il ritorno di Romeo Benetti e l’ingaggio di Boninsegna, Trapattoni costruì una squadra solida e ambiziosa. Il suo esordio fu trionfale: uno scudetto a quota 51 punti e la conquista della Coppa UEFA, primo trofeo internazionale bianconero. L’anno successivo, nonostante una semifinale di Coppa dei Campioni sfumata per errori arbitrali, la Juve confermò la propria forza, fondendo veterani come Zoff, Furino e Bettega con giovani talenti come Scirea, Tardelli e Cabrini.

Trapattoni concepiva la squadra come un “rosone”, in cui ogni elemento doveva occupare il posto giusto. Dopo stagioni di crescita e consolidamento, arrivarono nuovi successi con giocatori come Liam Brady, Virdis e Marocchino. La vera rivoluzione avvenne con l’arrivo di Platini e Boniek, inseriti in una squadra già vincitrice di uno scudetto e della Coppa del Mondo con Paolo Rossi protagonista.
La Juve divenne elegante e spettacolare, capace di conquistare scudetti, Coppa delle Coppe, Supercoppa e infine la Coppa dei Campioni nel 1985, grazie a un equilibrio tra tecnica, intelligenza tattica e grinta.

Nonostante i trionfi, Trapattoni dovette gestire grandi campioni e caratteri forti, difendendo la propria autonomia e confrontandosi con le critiche. Nel 1986, dopo aver lasciato un’eredità indelebile e un sesto scudetto, il Trap decise di lasciare Torino per l’Inter, chiudendo un decennio che rimane tra i più memorabili nella storia della Juventus.
Mario Bocchio