La maglia che non c’era: Costa Rica, Juventus e il mistero del bianconero a Italia ’90
Set 3, 2025

Tra leggende popolari e l’intervento di Boniperti, la vera storia di una divisa improvvisata che entrò nella memoria dei Mondiali

Italia ’90 non è stato soltanto il Mondiale delle notti magiche e del trionfo tedesco. È stato anche un torneo di favole minori, di storie nate ai margini delle grandi potenze calcistiche. Una delle più suggestive riguarda la Costa Rica, al suo debutto assoluto in Coppa del Mondo.

La nazionale centroamericana, guidata dal tecnico serbo Bora Milutinović, arrivò in Italia tra mille difficoltà logistiche: giocatori con problemi passaporto, poche divise a disposizione, materiale tecnico scarso. Eppure, contro ogni previsione, riuscì a qualificarsi agli ottavi di finale, battendo Scozia e Svezia e guadagnandosi l’ammirazione del pubblico.

Torino, 16 giugno 1990, Hector Marchena guida il muro difensivo della Costa Rica nella sfida del Mondiale contro il Brasile, poi vinta 1-0 dai verdeoro



Ma più ancora dei risultati, ciò che rimase impresso fu una maglia. Non la tradizionale rossa, né la seconda bianca, ma una divisa bianconera a strisce verticali, sfoggiata per la prima volta il 16 giugno 1990 allo stadio Delle Alpi di Torino, di fronte al Brasile.

Da allora si diffusero numerose versioni. Qualcuno disse che fosse un tributo al Club Sport La Libertad, la prima squadra di calcio del Paese, fondata nel 1905 e anch’essa in bianconero. Altri sostennero che fosse un omaggio alla Juventus, padrona di casa a Torino la città in cui i Ticos dovevano giocare.

La verità, però, l’ha raccontata in più occasioni lo stesso Milutinović. “Io sono tifoso del Partizan Belgrado, che veste di bianconero. Non avevamo maglie sufficienti e io volevo far giocare la mia squadra con quei colori. Così chiesi aiuto: tramite Montezemolo ottenni il numero di Giampiero Boniperti. Fu lui a mandarci 44 maglie juventine”.

Milutinovic allenatore della Costa Rica



Un aneddoto che spiega tutto: la divisa bianconera nacque dall’unione di necessità pratiche, passioni personali e un gesto di generosità. Non un’operazione di marketing, né una scelta simbolica, ma la soluzione improvvisata a un problema reale.

La testimonianza di Milutinović arricchisce di particolari la vicenda. “Comprai io stesso le scarpe per i giocatori, e mia moglie Maria arrivò a pagare i conti al ristorante. Quando entrammo in campo contro il Brasile, lo stadio esplose gridando ‘Juve, Juve’. I miei ragazzi si montarono la testa. Perdemmo solo 1-0, ma fu come vivere un sogno”.



Così, in una notte d’estate a Torino, laCosta Rica divenne per qualche ora una “piccola Juve mondiale”, vestendo colori che non gli appartenevano ma che contribuirono a rendere indimenticabile quella cavalcata. Una storia che, a distanza di decenni, continua ad affascinare e a ricordarci quanto il calcio sappia mischiare mito, necessità e poesia.

Mario Bocchio

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