L’ultimo baluardo. Addio a Celeste Pin, cuore viola e uomo di sport
Lug 24, 2025

Il silenzio di via dei Massoni, sulle colline gentili di Careggi, martedì pomeriggio era così fitto da sembrare rispetto. Solo il frinire delle cicale, qualche passo incerto dei carabinieri e lo sguardo attonito dei vicini. Dentro quell’appartamento, ordinato come una difesa schierata, se n’era andato Celeste Pin, 64 anni, colonna della Fiorentina anni Ottanta, uomo mite e solido, scomparso nel modo più solitario e crudele.

È stato un parente a trovarlo, poco dopo pranzo. Nessun biglietto. Nessuna parola lasciata. Solo l’assenza. E un passato che pesava, forse, più della sua proverbiale marcatura a uomo. Le prime ricostruzioni non escludono il suicidio. Ma dietro al gesto – se gesto volontario davvero è stato – resta la vita intera di un calciatore amato, discreto, testardo come le sue origini venete, che aveva scelto Firenze come casa e orizzonte.

Nel Perugia insieme al tecnico Ilario Castagner


Chi ha memoria della Fiorentina che sfiorò lo scudetto nell’82, della cavalcata europea fino alla finale di Coppa UEFA nel 1990, non può dimenticarlo: capelli mossi, fronte alta, senso della posizione e quel passo felpato che sembrava dire “da qui non si passa”. Con la maglia viola ha giocato 200 partite, sempre da centrale, sempre con l’orgoglio del gregario. Non alzava la voce, ma si faceva ascoltare.

In azione con la maglia della Fiorentina


Esordì nel Perugia, arrivò a Firenze nel pieno della giovinezza e ci restò per nove stagioni, diventando fiorentino d’adozione, con quel tratto discreto che alla città piace. Poi Verona, Siena, e una carriera da dirigente nel calcio giovanile. Sempre dietro le quinte, dove stanno i difensori veri.

In un undici viola insieme anche a Roberto Baggio


Celeste Pin rappresentava qualcosa che il calcio moderno ha dimenticato: la compostezza. Nessuna polemica, nessuna gloria sbandierata, solo il piacere del campo, del lavoro ben fatto. Lo chiamavano ancora “mister” nei campi della periferia toscana, dove allenava i ragazzi, spiegava i fondamentali, ripeteva le diagonali. Senza mai un riflettore, senza mai una conferenza stampa.

Era rimasto legato al pallone, ma con misura. Guardava le partite con l’occhio del tecnico, non del tifoso. Aveva ancora lo stesso sguardo lucido di quando marcava Vialli o Hateley.

Celeste Pin nel Verona


La notizia della sua morte è rimbalzata sui siti, sugli smartphone, tra i vecchi compagni che ancora lo sentivano ogni tanto. La Fiorentina ha espresso “profondo cordoglio”, ricordando “l’uomo prima del calciatore”. Il Verona ha scritto parole piene di rispetto. I tifosi viola, sui social, hanno rispolverato foto, figurine Panini, cori dimenticati. Nessuno ha parlato di depressione, nessuno ha azzardato congetture. Solo sgomento.

Stefano Pioli, che fu suo compagno di reparto, ha detto: “Era un fratello silenzioso. Uno che c’era, e bastava quello”.

Stagione 1995-’96, nel Siena (foto archivio “Siena club fedelissimi”)

Forse Celeste Pin era troppo gentile per un mondo che si urla addosso. Forse aveva solo bisogno di essere ricordato come voleva vivere: senza clamori, senza telecamere, senza frasi fatte. Se davvero ha scelto di andarsene così, lo ha fatto come difendeva: in silenzio, senza spettacolo, senza chiedere nulla.

E allora non resta che salutarlo con rispetto. Senza applausi. Solo con un pensiero: che c’era una volta un difensore che non faceva falli inutili, che non rincorreva i titoli, che amava il calcio come si ama una vocazione. Si chiamava Celeste. E ora difende il silenzio.

Mario Bocchio

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