Chi si ricorda del Videoton?
Giu 19, 2025

Fu un lampo improvviso, una scheggia di luce nel cielo opaco dell’Europa calcistica di metà anni Ottanta. Nessuno se lo aspettava. Mentre l’Occidente raccontava le imprese delle solite grandi del continente, dai fasti inglesi del Liverpool ai giganti spagnoli e tedeschi, dalle retrovie dell’Est emerse il Videoton Székesfehérvár. Un nome esotico, difficile da pronunciare per molti cronisti d’Europa, eppure destinato a entrare nei libri di storia grazie a un cammino europeo che seppe ridare lustro all’antica scuola magiara.

I prodotti dell’azienda Videoton


L’Ungheria di allora viveva ancora sotto l’ala della Cortina di Ferro. Budapest si muoveva in equilibrio tra socialismo e una certa apertura economica: il cosiddetto “goulash communism” di Kádár aveva permesso alla nazione un respiro diverso rispetto ad altri satelliti sovietici. In questo scenario di apparente quiete, il Videoton, club nato come squadra aziendale della fabbrica di elettronica di Székesfehérvár, rappresentava quasi una anomalia. Non aveva il blasone del Ferencváros, né il sostegno dell’esercito come la Honvéd; non vantava i trofei dell’MTK né la tradizione dell’Ujpest. Ma aveva un cuore pulsante fatto di uomini tenaci, allenati dalla mente lucida e pragmatica di Ferenc Kovács.

L’undici del Videoton che giocò la finale d’andata della Coppa UEFA contro il Real Madrid

La grinta di József Szabó

Kovács non era un rivoluzionario tattico, ma un artigiano del calcio. Aveva plasmato un gruppo disciplinato, solido, capace di adattarsi all’avversario con umiltà e precisione. In porta l’affidabile Péter Disztl, davanti a lui il fratello László Disztl e Csuhay a orchestrare la linea difensiva. A centrocampo l’intelligenza di Csongrádi e Májer, mentre davanti i guizzi di Szabó e l’estro ispiratore di Imre Vadász portavano fantasia e coraggio.

Il trionfo a Parigi. Csongrádi batte di testa Baratelli: è il 3-0

Eliminato il Manchester United. Duello aereo tra Mark Hughes e József Csuhay nel match di andata all’ “Old Trafford


Il viaggio europeo in Coppa UEFA cominciò come un sogno modesto e si trasformò in epopea. Superato il Dukla Praga con autorevolezza, gli ungheresi affrontarono e batterono i francesi del Paris Saint-Germain, squadra ben più quotata e abituata ai palcoscenici europei. Poi arrivò il Partizan Belgrado, temuto per il suo pubblico infuocato e il suo gioco fisico: ancora una volta, il Videoton stupì tutti. Poi ancora fu la volta del Manchester United, eliminato grazie ai calci di rigore.

Fotogramma di Videoton-Real Madrid


Ma la vera consacrazione giunse nella semifinale contro i bosniaci dello Szeljeznicar. Sotto il cielo frizzante di Székesfehérvár, nel piccolo Sóstói Stadion gremito da meno di 15.000 anime, il Videoton vinse 3-1, al ritornò perse ma colpì e sognò. Il 2-1 non fu sufficiente per gli jugoslavi e aprì le porte della leggenda al Videoton: in finale avrebbe affrontato il Real Madrid, che a sua volta aveva eliminato l’Inter.

In casa, però, il sogno sembrò dissolversi sotto i colpi precisi delle merengues. Michels, Santillana, Valdano: il 3-0 appariva una sentenza inappellabile. Eppure, al ritorno al Bernabeu, il Videoton giocò con l’orgoglio di chi sa di avere una sola possibilità per lasciare un segno. Il gol di József Májer non bastò per ribaltare la finale, ma regalò agli ungheresi una vittoria storica, un sigillo romantico su un’impresa indimenticabile.

I giocatori del Videoton festeggiano la vittoria al “Bernabeu



L’Europa, in quella primavera del 1985, riscoprì la scuola ungherese: non più il calcio stellare dell’Aranycsapat di Puskás, Czibor e Hidegkuti, ma una versione moderna e operaia, fatta di organizzazione, sacrificio e lucidità tattica. Un calcio capace, per un istante, di sfidare i giganti e farsi amare dai romantici di tutta Europa.


Oggi il Videoton si chiama Fehérvár FC. La fabbrica elettronica non è più il cuore economico della città, e il calcio globale ha cambiato regole e protagonisti. Ma chi c’era, chi visse quell’avventura straordinaria, racconta ancora di quell’anno magico. Del piccolo stadio di Székesfehérvár che si trasformava in un’arena, delle trasferte epiche in capitali europee, del sogno che per un attimo, come un lampo, illuminò il cielo d’Europa.

Mario Bocchio


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