
Un tempo, l’estate del calcio profumava di pino e di fatica. Erano gli anni del cosiddetto calcio romantico, quando i ritiri precampionato si svolgevano tra le Dolomiti o sull’Appennino, le gambe pesanti per i chilometri macinati sotto il sole, e i primi esperimenti tattici prendevano forma davanti a poche centinaia di tifosi fedeli. I giornali sportivi si riempivano di resoconti dalle amichevoli contro squadre di provincia, di cronache sulle prime sgambate, di aneddoti su giovani promesse da scoprire.
C’era la Coppa Italia d’agosto, spesso snobbata, ma capace talvolta di regalare storie inattese. Era un calcio che, pur già professionale, sapeva ancora concedersi il lusso di una preparazione a misura d’uomo, lontano dai riflettori globali.

Oggi lo scenario è radicalmente cambiato. L’estate calcistica è dominata dai grandi eventi planetari, dai tour promozionali, dai contratti miliardari firmati negli hotel di lusso tra New York, Riyad e Shanghai. Quest’anno, in un’estate già rovente per il clima e per la politica, debutta negli Stati Uniti il nuovo, faraonico Mondiale per club, ennesima vetrina del calcio iper-globalizzato targato FIFA.
Mentre le squadre si sfidano in uno spettacolo costruito su misura per le televisioni di tutto il mondo, l’America stessa attraversa giorni turbolenti: le tensioni politiche si acuiscono, con Donald Trump – il miliardario ultraconservatore, sospeso tra accuse giudiziarie e politiche infuocate – sempre più protagonista di una scena politica spaccata e infiammata. In molti, dentro e fuori dagli States, temono un nuovo rischio autoritario, alimentato da slogan populisti e un’aggressiva retorica revanscista.

Così, mentre il pallone rotola nei nuovi templi del business sportivo, la contraddizione diventa plastica: il calcio, un tempo momento di tregua e di comunità, oggi specchio delle fratture sociali e del capitalismo globale senza freni.

In fondo, ai nostalgici del pallone anni ’70 o ’80 non resta che il ricordo di quelle domeniche d’agosto, delle radioline accese, delle maglie sudate senza sponsor, delle prime pagine piene di entusiasmo per il “giovane fantasista proveniente dalla Primavera”.
Oggi il calcio d’estate è un’altra cosa. E racconta molto del mondo in cui viviamo.
Mario Bocchio