Due anni senza Silvio Berlusconi: l’uomo che cambiò il calcio per sempre
Giu 12, 2025

Sono passati due anni da quando Silvio Berlusconi ha lasciato questa terra, eppure la sua ombra continua ad allungarsi, come certe sere d’estate quando il sole indugia a tramontare, e il crepuscolo sembra eterno. È difficile parlare di calcio, oggi, senza misurarsi con l’eredità di quell’uomo che, con il suo ingresso nel Milan nel 1986, non si limitò a comprare una squadra: acquistò un mondo intero e lo trasformò secondo la propria visione.

Prima di lui, i presidenti erano industriali e imprenditori locali, amanti della propria squadra, capitani di ventura che inseguivano scudetti come fossero sogni di gloria personale. Le partite si giocavano nei pomeriggi della domenica, i contratti si firmavano con strette di mano, gli stranieri erano pochi e spesso esotici, i bilanci erano precari, ma ancora legati a una dimensione umana, quasi familiare.

1988, il primo titolo di Berlusconi



Poi arrivò lui, il Cavaliere. Con i suoi elicotteri atterrati a Milanello, con le sue promesse di vittorie mondiali, con il suo sorriso televisivo, i completi perfetti, i discorsi motivazionali ai giocatori radunati come soldati in un esercito. Arrivò con una visione imprenditoriale che nessuno prima aveva osato applicare al calcio: il club come azienda, il brand globale, lo spettacolo come motore del successo sportivo ed economico.

Silvio Berlusconi insieme ad Arrigo Sacchi



Il Milan diventò il laboratorio del calcio del futuro: Sacchi, Van Basten, Gullit, Rijkaard, Maldini, Baresi. La squadra più forte del mondo, come amava ripetere lui. E dietro al successo, i diritti televisivi, il marketing, il merchandising, la globalizzazione. Il calcio cominciava a diventare business, e Berlusconi ne era il profeta.

Ma ogni rivoluzione porta con sé anche il rovescio della medaglia. Il modello Berlusconi, replicato e imitato ovunque, ha innescato una corsa folle all’aumento dei costi: ingaggi sempre più alti, commissioni milionarie per i procuratori, stadi sempre più lussuosi e costosi, sponsor planetari. Il denaro è diventato la misura di tutto, e chi non poteva reggere quel passo si è trovato costretto ai margini. Le provinciali, che un tempo sognavano scudetti impossibili come il Verona dell’85 o il Cagliari del ’70, oggi sopravvivono a fatica, soffocate da bilanci insostenibili e dalla concorrenza dei superclub.

Il Cavaliere insieme all’inseparabile Adriano Galliani



Così il calcio ha perso, almeno in parte, la sua anima romantica. Sono rimaste le grandi notti europee, i campioni straordinari, i gol da sogno. Ma è scomparso un certo sapore di poesia, quella sensazione che in ogni campionato potesse nascondersi una favola.

1989, la prima Coppa dei Campioni del Cavaliere



Berlusconi non è stato solo un presidente. È stato l’artefice di un nuovo ordine calcistico, un costruttore di imperi, un rivoluzionario che ha trasformato il campionato italiano nel laboratorio di un calcio globale che oggi, a distanza di decenni, mostra tutta la sua grandezza e insieme tutte le sue contraddizioni.

Due anni dopo la sua scomparsa, resta l’impressione di un uomo che ha fatto grandissime cose, ma che, come ogni rivoluzionario, ha pagato – e fatto pagare – il prezzo del cambiamento. Resta la domanda sospesa: era inevitabile? Forse sì. Forse no. Ma il calcio di prima, quello che Berlusconi trovò e quello che lasciò, ormai appartengono a due mondi diversi. E il secondo porta, nel bene e nel male, il suo marchio indelebile.

Mario Bocchio


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