I giganti del Nord: quando il Malmö sfidò l’Europa e il mondo
Giu 3, 2025

C’è una città nel Sud della Svezia dove il vento sa di mare e di acciaio. Una città di portuali, fabbriche e cieli bassi. Malmö non ha mai voluto essere protagonista. Eppure, in un anno senza profezie, fu lei a guardare l’Europa negli occhi. Era il 1979, e undici uomini in celeste, allenati da un giovane inglese dai modi spartani, scrissero una delle storie più incredibili del calcio del Nord. Persero tutto, ma sfidarono tutti. E a modo loro, vinsero per sempre.

Bob Houghton portato in trionfo dai tifosi



Nessuno, all’inizio della Coppa dei Campioni 1978-’79, avrebbe immaginato di trovare il Malmö in fondo al tabellone. A guidarlo era Bob Houghton, classe 1947, un britannico che aveva fatto dell’essenzialità un dogma. Niente fronzoli, niente stelle. Solo sistema, pressing, ordine. Era il profeta silenzioso di una rivoluzione tattica che avrebbe anticipato il futuro.

Il Malmö entrò in coppa come campione di Svezia. Superò il Monaco, poi la Dinamo Kiev. Ma fu contro i polacchi del Wisla Cracovia, nei quarti di finale, che la favola prese corpo. Una squadra operaia, priva di nomi da copertina, eliminava i giganti dell’Est con disciplina e coraggio. Una doppia sfida caratterizzata dalla triplettada tre gol di Anders Ljungberg. Nella semifinale con l’Austria Vienna bastarono due partite tirate, spigolose, decise da episodi e da una tenuta mentale da veterani. All’improvviso, una squadra nordica, figlia del ghiaccio e della tattica, era in finale di Coppa dei Campioni.

Robert Prytz, che poi giocò anche in Italia nell’Atalanta e nel Verona



Il 30 maggio 1979, l’Olympiastadion di Monaco di Baviera accolse la sfida più improbabile dell’anno: Nottingham Forest contro Malmö. Da una parte, Brian Clough, l’irriverente genio inglese, e la sua squadra travolgente, appena salita in cima all’Inghilterra e già sul trono d’Europa. Dall’altra, Houghton e i suoi guerrieri disciplinati, senza stelle né copertine, ma con l’orgoglio di chi sa che certe occasioni non tornano.

Il Malmö arrivò a Monaco decimato: Staffan Tapper, leader del centrocampo, fu costretto ad abbandonare la sfida per un infortunio. Il piano partita fu chiaro: resistere. Il Forest attaccò, spinse, cercò il varco. E al 45’ lo trovò: cross dalla destra, e Trevor Francis, primo “milion-pound man” della storia inglese, colpì di testa. Un gol. Il solo gol. Tanto bastò.

Il Malmö perse, sì. Ma fu la prima, e ancora oggi unica, squadra scandinava ad aver raggiunto una finale della massima competizione europea per club. Non alzò il trofeo. Ma salì sulla montagna.

Un fotogramma della finale della Coppa dei Campioni contro il Nottingham Forest



Quella sconfitta, però, non fu l’ultima parola. Il Nottingham Forest, come molte squadre europee dell’epoca, decise di rinunciare alla Coppa Intercontinentale. Troppi impegni, troppi rischi, troppo lontano. A rappresentare l’Europa fu dunque proprio il Malmö, l’outsider che non si era arresa.

L’avversario era l’Olimpia di Asunción, Paraguay. Una squadra affamata, fisica, esperta, costruita per il duello. Il 18 novembre 1979 si giocò l’andata, a Malmö, in uno stadio freddo, grigio, mezzo vuoto e battuto dal vento. I paraguayani si adattarono meglio. Al 41’, Evaristo Isasi trafisse la difesa svedese. Finì 1-0 per l’Olimpia. Una sconfitta in casa che sapeva di presagio.

Il ritorno si disputò a Asunción il 2 marzo 1980. Un viaggio lunghissimo, dall’Artico ai Tropici. Nel catino del Defensores del Chaco, davanti a un pubblico rovente, il Malmö provò l’impresa. Al 39’ Solalinde segnò per l’Olimpia, ma Erlandsson pareggiò subito dopo. Serviva un altro gol. Invece arrivò Michelagnoli, al 71’, a spegnere ogni speranza. Finì 2-1 per i sudamericani. L’Olimpia sollevò la Coppa Intercontinentale. Il Malmö tornò a casa, ancora una volta a mani vuote. Ma non senza onore.


Immagini tratte da un giornale svedese il giorno dopo la vittoria dell’Olimpia nella gara di andata della finale della Coppa Intercontinentale

Nessun trofeo da mostrare. Nessuna bacheca da riempire. Solo fotografie in bianco e nero, scatti sbiaditi di uomini infagottati nel gelo nordico. Ma quelle immagini, oggi, raccontano più di molte coppe. Raccontano di un calcio che non cercava il lusso, ma la gloria. Di un gruppo di sconosciuti che, per un anno, si batté con i più forti senza mai arretrare.

Il Malmö tornò alla sua dimensione. Il campionato svedese, le coppe domestiche, le giornate corte e i campi duri. Bob Houghton continuò a viaggiare per il mondo.

Nel museo del Malmö Stadion, c’è una bacheca senza trofei europei e mondiali. Ci sono una maglia celeste, una foto di Monaco, un articolo di giornale del Paraguay. E una didascalia che basta a riassumere tutto: “L’anno in cui sfidammo il mondo”.

Mario Bocchio

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