Quella del mediano: la vita del proletario nel calcio
Mag 2, 2025

Umile, silenzioso, instancabile: il mediano è il lavoratore oscuro del campo. Una figura chiave spesso relegata ai margini della gloria, come il proletariato nella società.

Nel grande racconto del calcio, fatto di gol spettacolari, dribbling acrobatici e fuoriclasse osannati, c’è un ruolo che si muove nell’ombra, silenzioso ma fondamentale: quello del mediano. Il centrocampista arretrato, colui che spezza le trame altrui e ricuce le proprie, è spesso stato definito il “proletario del pallone”. Una definizione che non è soltanto poetica, ma profondamente politica e sociale.

Oriali in maglia interista nel campionato 1978-’79

Il primo a scolpire questa immagine con le parole fu Ligabue, nel brano “Una vita da mediano”, ispirato a Gabriele Oriali, il motorino dell’Inter degli anni ’70 e ’80. Ligabue lo descriveva come “uno con dei compiti precisi, a coprire certe zone, a giocare generoso”, riassumendo perfettamente la condizione del mediano: sacrificarsi per gli altri, ricevere pochi applausi, ma essere imprescindibile.

Ma il parallelismo con la classe operaia non si ferma alla canzone. Il calcio, riflesso della società, ha sempre avuto bisogno di ruoli “minori” per far brillare le sue stelle. Così come le fabbriche si sono rette sul sudore dei lavoratori, le squadre di calcio vincono spesso grazie all’equilibrio e al lavoro oscuro dei mediani. Pensiamo a Claude Makélélé, che al Real Madrid venne quasi ignorato, salvo poi essere rimpianto amaramente dopo la sua partenza. O a Didier Deschamps, che Zinedine Zidane definì “il portatore d’acqua”, riconoscendone però l’indispensabilità.

Claude Makélélé nel Real Madrid

Il mediano è l’incarnazione dell’etica del lavoro, dell’abnegazione, della fatica. Come i minatori della classe operaia, lavora nel buio per far brillare la luce altrui. Non cerca la copertina, ma la stabilità del sistema. Non chiede la standing ovation, ma rispetto.

Oggi, nell’era del calcio iper-mediatico, il ruolo del mediano resiste come baluardo di un calcio più umano, collettivo, meno schiavo del personalismo. È la memoria vivente di una visione cooperativa del gioco, dove ogni gesto ha valore, anche se non finisce nei replay.

Da sinistra, i connazionali Zinédine Zidane e Deschamps nel ritiro estivo juventino della stagione 1996-’97

Il mediano, dunque, non è solo un ruolo tecnico: è un simbolo sociale, una figura che richiama i valori del lavoro, del sacrificio, della dedizione. La sua vita in campo racconta la storia di tanti: quelli che fanno, ma non appaiono. I proletari del gioco, senza i quali il calcio perderebbe la sua anima.

Mario Bocchio

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