
Nel freddo di una mattina d’autunno del 1974, le strade grigie di Belfast si svegliarono con un sussurro amaro. Un uomo, in abito modesto, con una leggera zoppia e un sorriso gentile, stava andando al lavoro. Si chiamava Jimmy Hasty. Non era un uomo qualunque: era stato un campione, un’icona, un simbolo di speranza in un’Irlanda divisa e dolorante. Ma quella mattina, Jimmy non arrivò mai a destinazione. Tre colpi di pistola alla schiena posero fine alla sua vita. Aveva solo 38 anni.
La sua storia, però, era iniziata molto prima. E non era una storia come le altre. Perchè è un ragazzo di Belfast.

Jimmy nacque nel 1936 in un quartiere operaio dove la vita si misurava in turni di lavoro e sogni non sempre concessi. A soli 14 anni, un destino crudele lo colpì con la violenza dell’acciaio industriale: un incidente sul lavoro gli portò via il braccio destro. Per molti, sarebbe stata la fine di ogni ambizione sportiva. Per Jimmy, fu solo l’inizio di una battaglia contro il pregiudizio, l’autocommiserazione e la disabilità.


Nel silenzio dei campetti di periferia, iniziò a giocare a calcio. All’inizio per sé stesso, per sfogare la rabbia, per sentirsi ancora intero. Poi, per gli altri, per chi vedeva in quel ragazzo dal passo veloce e dalla tecnica sopraffina un prodigio che sfidava le leggi della fisica e della logica.
Nel 1960, il destino bussò alla sua porta con il nome di Jim Malone, presidente del Dundalk FC. Malone vide qualcosa in Jimmy che nessun altro aveva osato vedere: un attaccante letale, un centravanti capace di bucare le reti avversarie con la sola forza della volontà. Lo ingaggiò, suscitando scalpore e resistenze. I dirigenti del club, saputo della sua disabilità, tentarono di annullare l’accordo. Ma Malone fu irremovibile. “Guardate come gioca”, disse. E quando Jimmy scese in campo, nessuno osò più dubitare.
Con il Dundalk, Jimmy Hasty scrisse pagine leggendarie di calcio. In sei stagioni segnò oltre cento gol, diventando il terrore delle difese irlandesi. Ma il suo capolavoro lo dipinse il 30 settembre 1964, durante una storica partita di Coppa dei Campioni contro lo Zurigo. In quella notte magica, segnò una rete e servì un assist, portando il Dundalk alla prima vittoria esterna di sempre per una squadra irlandese in Europa.
Divenne il il ragazzo con un braccio solo che faceva la storia tra i giganti del continente. Ma c’era l’uomo dietro il campione
Fuori dal campo, Jimmy era un marito devoto, un padre amorevole, un uomo che non si era mai montato la testa. Amava raccontare storie, fumare una sigaretta al tramonto, e camminare a testa alta nei quartieri dove un tempo era stato solo “il ragazzo senza un braccio”. Aveva un’ironia tagliente e una forza morale che lo rendevano amato anche dai suoi avversari.
Quando appese le scarpe al chiodo nel 1967 con il Drogheda, tornò a Belfast. Aveva vinto tutto quello che poteva, aveva dimostrato al mondo che la disabilità non è un limite, ma un punto di partenza.
Ma l’Irlanda del Nord degli anni ’70 non era un luogo sicuro per gli uomini come lui. I Troubles, quel conflitto feroce e intestino tra cattolici e protestanti, repubblicani e unionisti, divampavano per le strade. L’ 11 ottobre 1974, mentre andava al lavoro presso una casa editrice, Jimmy fu assassinato da paramilitari lealisti, forse per un sospetto mai chiarito, forse per puro terrore seminato nel quotidiano.

La sua morte fu una ferita aperta, non solo per il calcio irlandese, ma per un’intera comunità che in lui aveva trovato un eroe silenzioso. Nessuno fu mai arrestato. Nessuna giustizia fu fatta. Ma la sua memoria sopravvisse.

Nel 2024, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, la UEFA ha prodotto un documentario dal titolo One-Armed Wonder: The Extraordinary Story of Jimmy Hasty, che ha vinto un Emmy Award come miglior documentario sportivo breve. La regia di Richard Milway ha ridato voce a chi aveva smesso di parlarne. La moglie di Jimmy, Margaret, ha raccontato per la prima volta in pubblico il dolore, la forza e l’amore di una vita vissuta accanto a un uomo straordinario.
Jimmy Hasty è diventato più di un calciatore. È diventato leggenda. Non per i trofei, non per le statistiche, ma per aver incarnato l’essenza dello sport: la sfida a sé stessi, la resilienza, il coraggio di credere nell’impossibile.
“C’era un solo Jimmy Hasty”, cantano ancora oggi i tifosi del Dundalk. E avevano ragione. Perché uomini così non si dimenticano. Si raccontano.
Mario Bocchio