Bergoglio, il Papa futbolero
Apr 21, 2025

Il sole si alza lento sopra le cupole di San Pietro, ma da qualche parte, nei cortili interni del Vaticano, riecheggia ancora un nome: San Lorenzo de Almagro. Non è il nome di un santo canonico, ma per Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, era quasi una devozione parallela. Un amore nato nei vicoli di Buenos Aires, cresciuto tra radioline gracchianti e partite ascoltate di nascosto sotto il banco, e mai svanito, nemmeno sotto il peso della mitra papale.

Prima di diventare il pastore di oltre un miliardo di fedeli, Francesco era un ragazzino come tanti, con le ginocchia sbucciate e gli occhi pieni di sogni. Nel barrio di Flores, dove l’asfalto si confondeva con la polvere, la vita aveva il ritmo del tango e dei dribbling improvvisati tra i marciapiedi. “Quando giocavamo in strada, bastava una pietra per fare il palo e un vecchio pallone per sentirci campioni”, aveva ricordato una volta con un sorriso che sembrava riportarlo indietro di settant’anni.

Papa Francesco e il suo amore eterno per il San Lorenzo.

Ma il cuore, quello batteva per il San Lorenzo. La squadra degli oratoriani, dei preti di quartiere, fondata da un salesiano, anche lui di origini italiane, Lorenzo Massa: poteva forse scegliere diversamente, un giovane destinato al sacerdozio? Da sempre sono conosciuti come i Corvi, proprio in ricordo delle svolazzanti talari nere da prete.

Ogni gol, ogni vittoria, era una piccola resurrezione. Ogni sconfitta, un esercizio di umiltà. “Il calcio – ha detto più volte il Pontefice – ti insegna a rialzarti, a giocare per la squadra. Come nella vita, come nella fede”.

Al Vecchio Gasometro c’era sempre un posto per lui, anche quando divenne arcivescovo di Buenos Aires, perché l’amore per El Ciclón  è sempre stato sconfinato, come l’ammirazione in particolare per un giocatore René Pontoni, il suo idolo laico.

Anche da Papa, il legame non si è spezzato. C’è chi giura che, nei momenti di pausa, tra un’enciclica e una benedizione, Francesco chiedesse notizie del San Lorenzo. “Hanno vinto?” sussurrava, con quella voce argentina che ha sempre conservato le cadenze del barrio. Una volta, ricevendo in udienza i giocatori della squadra, li ha stretti uno per uno, come vecchi amici ritrovati. E quando nel 2014 il San Lorenzo vinse la Copa Libertadores, fu il primo tifoso a ricevere la notizia. Qualcuno dice che, per un attimo, abbia fatto un piccolo salto di gioia. Un gesto umano, troppo umano. Poi ha subito chiamato il presidente in Argentina.

Papa Francesco ed il ricordo di Maradona: “Ha regalato gioia a milioni di persone”

Ma la passione del Papa non è stata solo nostalgia. È stata un ponte tra mondi: tra sacro e profano, tra spiritualità e passione popolare. In un’epoca in cui il calcio è diventato industria e spettacolo, Francesco continuava a parlarne con la semplicità del cortile, dove contava solo il passaggio giusto e il rispetto dell’avversario. Ha ammonito contro il tifo cieco, ha lodato il fair play, ha invitato i campioni a essere esempi, non solo idoli.

“Il calcio è poesia in movimento” ha detto una volta. Forse perché, come la fede, richiede abbandono. Come la preghiera, è un atto collettivo, una messa laica dove si canta all’unisono. E forse perché, nel profondo, c’è qualcosa di divino anche in un pallone che gonfia la rete.

Papa Francesco, l’uomo in bianco che sognava in rosso e blu.

Mario Bocchio

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