
Nel panorama del calcio italiano, pochi personaggi hanno incarnato l’autenticità e la passione come Carlo Mazzone. Nato a Roma il 19 marzo 1937, Mazzone non è stato solo un allenatore, ma una vera e propria icona del calcio di provincia, quello fatto di sacrifici, cuore e spirito di appartenenza.
Prima di diventare uno degli allenatori più amati e rispettati d’Italia, Carlo Mazzone ha avuto anche una carriera da calciatore. Cresciuto calcisticamente nella Roma, dopo l’esordio in A ha però trovato la sua dimensione altrove, vestendo le maglie di squadre di provincia: Latina, Spal e Siena.

Nel 1960 approdò all’Ascoli, allora Del Duca, squadra con la quale ha giocato per ben nove stagioni, diventandone un punto di riferimento in difesa e successivamente anche capitano. Era un difensore roccioso, generoso e grintoso, caratteristiche che poi trasferì nel suo modo di allenare. Proprio ad Ascoli, sotto la guida del presidente Costantino Rozzi, Mazzone iniziò a maturare l’idea di proseguire nel mondo del calcio come tecnico, un’intuizione che si sarebbe rivelata vincente.

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, nel 1968 Mazzone intraprese la carriera da allenatore proprio sulla panchina dell’Ascoli, diventando presto un simbolo per la città e per il club. Sotto la sua guida, la squadra bianconera raggiunse traguardi storici, tra cui la promozione in Serie A nel 1974. Questo fu solo l’inizio di un lungo percorso che lo vide protagonista su numerose panchine del calcio italiano.

Nel corso degli anni ha guidato formazioni storiche come Brescia, Lecce, Cagliari, Bologna e Perugia, oltre a una parentesi con la Roma, squadra della sua città natale. Mazzone è sempre stato un uomo di campo, un tecnico vecchio stampo capace di trasmettere ai suoi giocatori non solo tattica, ma anche valori umani fondamentali. È stato l’allenatore che ha lanciato giocatori come Andrea Pirlo, che a Brescia iniziò la sua metamorfosi da trequartista a regista sotto la sua guida, e che ha saputo gestire campioni dal carattere difficile come Roberto Baggio, con il quale costruì un rapporto di stima reciproca.

Uno dei momenti più iconici della sua carriera resta senza dubbio la celebre corsa sotto la curva dell’Atalanta, quando nel 2001, alla guida del Brescia, esplose di gioia dopo il pareggio di Baggio nel derby lombardo. Un gesto spontaneo e genuino, che sintetizza alla perfezione il temperamento passionale e schietto del “Sor Magara”, soprannome affettuoso con cui era conosciuto.
A Brescia Mazzone visse una delle sue stagioni più belle, riuscendo a costruire una squadra competitiva intorno a campioni come Baggio, Pirlo,Toni e Guardiola, e portando il club a ottenere ottimi risultati in Serie A, tra cui una storica qualificazione alla Coppa Intertoto.

Mazzone rappresentava un calcio autentico, lontano dalle esasperazioni tattiche e dalle strategie di marketing che oggi dominano il panorama calcistico. Era un allenatore che parlava con il cuore e che riusciva a farsi rispettare dai suoi giocatori senza bisogno di imposizioni. Un uomo di altri tempi, legato a un calcio che oggi sembra sempre più un ricordo sbiadito.

Oltre alla sua abilità tattica, era noto per la sua schiettezza e il suo linguaggio colorito, che lo rendevano amatissimo dai tifosi e dai suoi giocatori. Chiunque lo abbia conosciuto ricorda la sua umanità, la capacità di motivare i calciatori e di creare un rapporto speciale con le città e le squadre che ha allenato.

Con la sua scomparsa, avvenuta il 19 agosto 2023, il calcio italiano ha perso uno dei suoi ultimi grandi maestri di vita e di sport. Ma il suo spirito, la sua grinta e il suo amore incondizionato per il gioco continueranno a vivere nei racconti di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e nei cuori di tutti gli appassionati che, ancora oggi, lo ricordano con affetto e ammirazione.
Oggi Mazzone è ricordato come un esempio di passione, dedizione e attaccamento ai valori più puri del calcio. Un uomo che ha dato tutto per questo sport, lasciando un’eredità indelebile nelle menti e nei cuori di chi ama il calcio vero, quello che si gioca con l’anima.
Mario Bocchio