
Aleksandr Timofeevič Prokopenko è stato uno dei calciatori più talentuosi della sua generazione, ma anche una delle figure più tragiche del calcio sovietico. Nato il 16 novembre 1953 a Babrujsk, nell’attuale Bielorussia, ha legato la sua carriera principalmente alla Dinamo Minsk, squadra con cui ha raggiunto il successo negli anni ’70 e ’80. Tuttavia, il suo talento sul campo è stato spesso oscurato dalle sue lotte personali, che lo hanno portato a una fine prematura nel 1989.

Fin da giovane, “Prokop” dimostrò una straordinaria capacità tecnica e una visione di gioco fuori dal comune. Entrò nelle giovanili della Dinamo Minsk e, grazie alle sue doti, riuscì rapidamente a guadagnarsi un posto nella prima squadra. A partire dal 1973, divenne una pedina fondamentale per il club, giocando nel ruolo di centrocampista offensivo.
Durante la sua carriera con la Dinamo Minsk, disputò 309 partite e segnò 97 gol, contribuendo in modo significativo ai successi della squadra. Il punto più alto della sua carriera arrivò nel 1982, quando la Dinamo Minsk vinse il campionato sovietico, un risultato storico per il club bielorusso, che riuscì a imporsi su squadre molto più blasonate come lo Spartak Mosca e la Dinamo Kiev. Oltre ai successi nazionali, Prokopenko contribuì alle prestazioni della Dinamo Minsk nelle competizioni europee, affrontando squadre di alto livello e dimostrando le sue qualità su un palcoscenico internazionale.
Nonostante le sue ottime prestazioni a livello di club, non riuscì però mai a lasciare un segno significativo nella nazionale sovietica. Disputò solamente una partita con la selezione maggiore dell’URSS nel 1980, un numero sorprendentemente basso per un calciatore del suo calibro. Le sue esclusioni dalla squadra nazionale furono dovute in parte alla fortissima concorrenza nel ruolo di centrocampista offensivo, ma soprattutto ai suoi problemi disciplinari e personali. Venne invece convocato nell’Olimpica che conquistò la medaglia d’argento ai Giochi di Mosca, scendendo in campo in due occasioni.
Il calcio sovietico dell’epoca era infatti caratterizzato da una forte disciplina e rigidità, e il comportamento fuori dal campo era tenuto in grande considerazione per le selezioni nazionali. Prokopenko, con il suo stile di vita da autentico ribelle e i problemi legati all’alcolismo, non rientrava nei canoni richiesti dallo staff tecnico della nazionale, dal cittì Konstantin Beskov in primo luogo. Questo gli impedì di partecipare a competizioni internazionali di prestigio come Europei e Mondiali, limitando la sua visibilità al di fuori del campionato sovietico.
Dietro il talento cristallino di Prokopenko si nascondeva un lato oscuro: la dipendenza dall’alcol. Questo problema iniziò a manifestarsi già durante gli anni di massimo splendore con la Dinamo Minsk, influenzando le sue prestazioni e il suo comportamento dentro e fuori dal campo. Gli allenatori e i dirigenti del club cercarono di aiutarlo, ma i suoi problemi personali continuarono ad aggravarsi.

Le difficoltà con le bevande alcoliche, soprattutto quelle di forte gradazione, non solo minarono la sua carriera calcistica, ma ebbero anche un impatto sulla sua vita personale. Le relazioni con compagni di squadra e allenatori si incrinarono, e il suo rendimento calò progressivamente. Nel tentativo di riprendere in mano la sua carriera, ebbe alcune brevi esperienze in squadre minori, ma senza successo.
Dopo aver lasciato il calcio professionistico nel 1983, la sua vita prese una piega drammatica. Senza più la disciplina e la routine del calcio, la sua dipendenza peggiorò. Trascorse gli ultimi anni della sua vita tra difficoltà economiche e problemi di salute. Morì prematuramente il 29 marzo 1989, all’età di soli 35 anni, lasciando un vuoto nel cuore dei tifosi e dei suoi ex compagni di squadra.

Nonostante la sua tragica fine, Aleksandr Prokopenko rimane una leggenda del calcio bielorusso e sovietico. Il suo talento, la sua creatività e la sua passione per il gioco lo hanno reso uno dei giocatori più amati dai tifosi della Dinamo Minsk. Tuttavia, la sua storia rappresenta anche un monito sulle difficoltà che molti atleti affrontano una volta terminata la carriera e sull’importanza del supporto psicologico e sociale per prevenire tragedie simili.
Il suo nome è ancora oggi ricordato con affetto dai tifosi della Dinamo Minsk, e il suo contributo al calcio bielorusso è riconosciuto anche dalle nuove generazioni. Alcuni eventi commemorativi sono stati organizzati per onorare la sua memoria, e il suo esempio continua a ispirare giovani calciatori che aspirano a fare carriera nel mondo del calcio. La sua storia, fatta di successi e cadute, rappresenta il ritratto di un talento straordinario che, purtroppo, non ha potuto esprimere tutto il suo potenziale a causa delle proprie fragilità.
Mario Bocchio