La squadra più antifascista della Serie A
Gen 28, 2025

In una città, Lucca, con una delle sezioni fasciste più dure d’Italia, la squadra di calcio, da neopromossa, ottenne il miglior piazzamento di sempre guidata da un ungherese di origini ebraiche, Ernő Erbstein, che poi divenne l’architetto del Grande Torino. E in campo scendevano Bruno Scher, Libero Marchini, Gino Callegari, noti comunisti e anarchici invisi al regime. Più Bruno Neri, partigiano caduto in battaglia nel 1944 all’Eremo di Gamogna.

La Lucchese del 1933/34: Erbstein è il primo a sinistra

Non è facile essere antifascisti nella Lucca degli anni del regime. La città – direttamente o indirettamente – è stata governata dal 1922 al 1932 dal federale Carlo Scorza, una delle personalità più importanti del fascismo intransigente. La città ha una delle sezioni fasciste più forti d’Italia. In Toscana, per numero di iscritti, davanti a Lucca c’è soltanto la sezione di Firenze. Non è facile essere antifascisti, in particolare, nel 1936. Pochi mesi prima Benito Mussolini ha proclamato l’Impero, facendo salire in maniera esponenziale la propria popolarità e il furore patriottico in tutto il Paese. Eppure è proprio sotto la Torre delle Ore che prende forma la squadra più dichiaratamente antifascista della Serie A durante il Ventennio: la Lucchese.

Bruno Scher in rossonero

A guidarla un ungherese di origine ebraica, Ernő Erbstein. È approdato a Lucca nel 1933 per volere del presidente Giuseppe Della Santina, che vuole tornare a giocare quella B assaggiata per una sola stagione tre anni prima. In cinque anni Erbstein vince due campionati (Prima Divisione e Serie B) e conquista la prima storica promozione in massima serie della società toscana.

La Lucchese 1936-’37

Ma, soprattutto, porta a Lucca un nutrito gruppo di noti antifascisti. Oltre a lui, in quella prima avventura in A, si annoverano in rosa Bruno Scher, Libero Marchini, Bruno Neri, Gino Callegari. Più il portiere Aldo Olivieri e il suo antifascismo silenzioso: “Io non sono mai stato fascista. Anche in Nazionale: mi adeguavo, ma non approvavo. Anche Pozzo non confondeva la politica col calcio, e difatti faceva in modo che del Duce non si parlasse mai. Sì, eravamo obbligati a fare il saluto, a recitare, e io recitavo. Ma mai ho preso la tessera: se si ama la libertà, non si può essere fascisti”. Tutti titolari e protagonisti assoluti di quel settimo posto in Serie A che ancora oggi rappresenta il risultato più importante per la società rossonera. A pari punti con l’Inter di Giuseppe Meazza.

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