Gnappetta
Gen 15, 2025

Emanuele Curcio ha 22 anni e nel gennaio del 1975 pare avere tutta la più bella vita davanti. Gioca a calcio, fa l’ala sinistra, la Roma lo ha notato nella sua squadra della sua città, il Messina, e lo ha fatto esordire in serie A. Curcio ha appena segnato una doppietta al Lanerossi Vicenza.

Un undici del Messina nella stagione 1972-’73

È una stagione che la Roma chiuderà al terzo posto, per lui rimarrà una parentesi. Proseguirà il percorso in serie C, a fine carriera farà l’insegnante di ginnastica artistica. Ma l’8 gennaio del ‘75 è un personaggio che la Gazzetta dello Sport racconta così con Franco Melli.

Curcio, dalla Sicilia alla Roma

“Una mattina suo padre esce e non ritorna più. Emanuele Curcio dice che sua madre l’ha cresciuto parlandogli d’un uomo che sarebbe rientrato domani, e sono passati diciassette anni. Ma poi il domani è diventato il pallone e di quel padre lì, smarritosi in Australia unitamente ad un fratello e due sorelle, il rimpianto s’è freddato, la memoria indugia traballante. La memoria del resto è incentrata tutta su sua madre, una madre piccola e dolorosa come lui, una donna d’un paese depresso a dispetto dell’aria trasparente, che tira avanti andando a servizio in un paio di famiglie abbienti di Sant’Angelo di Brolo, solo per difendersi l’unica ed ultima proiezione di felicità in terra. Con questo passato d’amore e di tormenti, con una storia di chiaroscuri violenti e di afflizioni inconfessate, Emanuele Curcio sale a Roma per ricavare un qualsiasi destino da inurbato, con referenze calcistiche confuse e sommarie, oltre ad una marcata ritrosia”.

Con la maglia della Roma contro la Fiorentina

L’ambientamento è difficile. Curcio è piccolo, poco decorativo, una testa di capelli ispidi e scomposti, uno sguardo sfiduciato ancorché pungente. Inoltre quando è in campo la curiosità o l’ilarità che determina aumenta, perché scatta via a strappi disordinati, a sfuriate convulse, e ricorda la canzone di Iannacci dove c’è un tale che parte e ciao, ma non si sa mai, proprio, dove arrivi. Lo prendono in giro, i tifosi più benevoli lochiamano “gnappetta” che significa gnomo, bassotto, soldo di cacio, mezzo clown.

In gol contro il Lanerossi Vicenza

“Quando ho segnato la prima rete non ci ho visto più per alcuni minuti, ma quando ho realizzato la seconda ho pensato che stavo giocando in un altro mondo e in un’altra vita e per molto tempo ho avuto paura di delirare. Poi, a fine partita, ho trovato solo la forza di prendermi il pallone, di portarmelo via, di guardarlo a vista. Sono due notti che dormo con il pallone sotto il letto, qui nel pensionato”. 

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