Valutare la carriera di Piero Braglia da calciatore e poi da tecnico è come immergersi in un oceano di nomi e di statistiche. Talmente profonda la sua esperienza, talmente lungo il curriculum che ti ci perdi dentro, rischiando di non apprezzare appieno gli straordinari risultati ottenuti. Piero Braglia, l’eterno, ha scritto qualcuno.
Abbiamo già detto delle oltre 1100 panchine e delle quattro promozioni dalla C alla B: Catanzaro 2003, Pisa 2006, Juve Stabia 2011, Cosenza 2017. Abbiamo pure evidenziato la sua estesa copertura geografica da allenatore (Toscana – ben sei le province coperte – Puglia, Abruzzo, Calabria, Lazio, Campania, Piemonte, Umbria e ora Molise).
Le ha viste tutte Braglia ed è uno che, quando è pungolato, non è mai dolce di sale, né incline al compromesso. Non ha filtri, motivo per cui incappa spesso nella squalifica. La sua schiettezza maremmana è parte essenziale del personaggio. Duro il noto attacco all’amministrazione comunale di Gubbio per il problema di impianti non adeguati dove allenarsi.
Il suo calcio non è datato. Con gli eugubini ha ottenuto due quinti posti (120 punti in totale) giocando in modo propositivo con diversi giocatori andati in doppia cifra. Varia spesso il modulo, non pare essere un integralista. Sarà poi il campo a certificare tali eventuali prerogative.
Poco invece si è detto del Braglia calciatore, della sua formazione su e giù per l’Italia da Firenze a Catanzaro, da Trieste a Catania, da Montevarchi a Cremona.
Braglia nel Catanzaro sulle figurine
Nella massima serie ha giocato 140 partite. Esordio a Catanzaro con la maglia della Fiorentina il 20 marzo 1977. Picco dell’avventura in A la straordinaria esperienza proprio nel Catanzaro dei miracoli targato prima Burgnich poi Pace. Da consegnare alla storia dei giallorossi calabresi il settimo posto della stagione 1981-‘82, da ricordare anche l’ottavo piazzamento dell’annata precedente. È il Catanzaro di un bienno d’oro con i vari Claudio Ranieri capitano, del futuro campione intercontinentale Massimo Mauro, di Salvadori e Peccenini, di Palanca (piedino sinistro magico, calzava il 37, e recordman dei gol direttamente da calcio d’angolo, ben 13 in carriera); e ancora di Borghi, Boscolo, Sabadini, Bivi e del bravo portiere Zaninelli che sembra un “francescano” prestato al calcio.
Centrocampista tosto e di raccordo, non segna mai ma si fa… sentire, Braglia vive in prima linea quelle annate, così come le due successive.
C’è un curioso episodio che siamo andati a scovare nella sua avventura alla corte del presidente Adriano Merlo. Episodio mai raccontato, che certifica il suo passaggio nella storia del calcio italiano e denota forse anche l’astuzia del ragazzo e la sua passione, crediamo, per la Fiorentina, con la quale aveva giocato le prime due stagioni in A.
È il 16 maggio 1982, ultima di campionato: al “Nicola Ceravolo” mitico stadio, con un pino marino che incombe su una delle curve, arriva la Juventus di Trapattoni e Liam Brady, appena ceduto per fare posto a Platini e Boniek. I bianconeri sono in lotta con la Fiorentina per lo scudetto.
In campo c’è pure Paolo Rossi, rientrato due settimane prima dopo una lunga e dolorosa squalifica per il coinvolgimento della vicenda del calcioscommesse. Due mesi dopo Rossi sarebbe diventato Pablito nel mondiale spagnolo.
Dall’altra parte c’è un Catanzaro che può congedarsi nel modo migliore dai propri accesi sostenitori. In campo non c’è il capitano Claudio Ranieri, la fascia spetta a Piero Braglia, numero otto e zazzera al vento.
Le “aquile del Sud” giocano una partita gagliarda, onorando al massimo l’impegno. A un quarto d’ora dalla fine arriva l’episodio decisivo: Marocchino fugge via in dribbling sulla destra, mette al centro per Rossi che di testa colpisce il palo, palla a Fanna che calcia a botta sicura, ma Celestini sulla linea respinge di braccio impedendo il gol: è rigore. Sul dischetto va proprio il giocatore con la valigia in mano: Liam Brady.
Mentre l’irlandese si prepara e i giallorossi e il pubblico protestano con l’arbitro (sulla scia di un possibile rigore non concesso nel primo tempo), entra in scena Piero Braglia che si avvicina sornione e, con il piede sinistro, comincia a “zappettare” sul dischetto del rigore, furbizia non certo regolare usata nel calcio dalla notte dei tempi, certamente un’insidia per il tiratore. Due o tre colpetti con la punta del piede fino a quando Brady lo vede. I due parlottano e si chiariscono pacatamente come se in quel frangente non si decidesse il campionato. Nessuno spintone, nessuna protesta, una scena d’altri tempi: che signore l’irlandese. Il quale poi, con classe e freddezza, infila il pallone alla destra di Zaninelli. È il gol che decide il campionato, per la Juve è il ventesimo scudetto, la seconda stella. Sono passati 42 anni.
Nella stessa stagione Braglia e il Catanzaro giocarono anche una grande coppa Italia. Dopo aver vinto il girone di qualificazione, disputato prima del campionato, superano il Napoli nel doppio confronto dei quarti di finale. Cedono solo in semifinale, spaventando l’Inter che si salva nel secondo tempo supplementare (3-3 il dato aggregato, ma i nerazzurri hanno fatto un gol in più fuori casa).
L’esperienza di Catanzaro si conclude con la retrocessione del 1983 in B, serie in cui Braglia resta per quattro stagioni (una in Calabria, una a Trieste, due a Catania).
Sono quelli anche gli anni gloriosi del Campobasso: le strade dei lupi e del centrocampista grossetano non possono non incrociarsi. Braglia gioca sia al vecchio sia al nuovo Romagnoli. Nella stagione 1983-‘84 è in campo solo al ritorno, il 26 marzo 1983. Vincono 1-0 i calabresi, gol di Pino Lorenzo.
La stagione successiva passa alla Triestina e non gioca l’andata quando i lupi vincono in esterno con una punizione di Maragliulo. È invece in campo al ritorno al vecchio Romagnoli. È l’ultima giornata: vince ancora il lupo – e sempre su punizione – stavolta segna Tacchi ed è salvezza. Da un varco nella recinzione della Nord, i tifosi fanno invasione di campo.
L’anno seguente l’ex Catanzaro riparte da Catania. C’è nello 0-0 al nuovo Romagnoli del 20 ottobre 1985, salta invece il ritorno.
Ancora un anno e l’11 novembre 1986 gioca in Catania-Campobasso 1-1, Sorbello e Vagheggi i marcatori. Al ritorno i lupi schiantano gli etnei 4-0 (doppio Perrone, Baldini e Mollica), lui è costretto a uscire dopo appena 18 minuti.
Sono questi gli incroci tra i lupi e l’attuale mister. Il quale, quasi 38 anni dopo, è tornato a Selvapiana da allenatore (del Campobasso) navigato e vincente. Ci piace pensare che, dietro la decisione di scegliere il Molise, ci siano stati anche quegli scampoli di calcio più umano in cui orbitava un Campobasso attrezzato e gagliardo, la realtà che tutti auspichiamo per gli anni a venire.