Giocava da mediano. Gino Ferrer Callegari. Prima di arrivare a Lucca, indossava la maglia della Roma, E proprio in maglia giallorossa, si racconta, ebbe un singolare faccia a faccia con Benito Mussolini. Il Duce, all’inizio della stagione 1933-‘34, passò in rassegna la squadra, della quale si sussurra che aveva una certa simpatia. Giunto davanti a Callegari lo apostrofò così: “Ah,l’anarchico…”. La Roma lo scaricò a fine stagione. Questo suo pensiero social-politico gli precluse anche ogni convocazione in nazionale per l’intera carriera. Con Erbstein in panchina la Lucchese, nel campionato 1936-‘37, arriva a ottenere il miglior piazzamento della sua storia, la settima posizione. Poi la scure delle leggi razziali si abbatte sull’allenatore che viene mandato in un campo di concentramento. Si salva e dopo la guerra dà vita alla leggenda del Grande Torino. Che finirà con lo schianto di Superga.
Ma torniamo a Callegari, nato a Padova nel 1911, era uno dei tanti prodotti del vivaio veneto affermatisi nel corso degli anni ’30. Inizia giovanissimo a Padova, ove viene adocchiato dal tecnico inglese Herbert Burgess per le doti di scatto, rapidità, decisione nel tiro e capacità di variare il gioco per effetto di una fervida bravura tattica, sorprendente per un ragazzino. Nel 1930-‘31 entra a far parte stabilmente della rosa di prima squadra e, quando nel 1933, lo acquista la Roma, la sua carriera sembra ormai in ascesa.
Nella prima partita del torneo, però, quando Bernardini lo presenta a Mussolini, il Duce tira dritto senza nemmeno salutarlo e, dal suo punto di vista, ne ha tutto il motivo: Callegari, infatti, è di idee anarchiche e nell’Italietta del Ventennio è una colpa incancellabile. Gioca una ventina di partite, su buoni livelli, ma alla fine della stagione qualcuno evidentemente si ricorda di quell’episodio alla prima giornata e decide che è meglio non mettersi contro Mussolini, anche perchè nel frattempo è arrivato anche Stagnaro e la mediana sembra anche troppo ricca di uomini di rilievo e lui è diventato l’anello debole della catena, anche se non per motivi tecnici.
La dirigenza si interroga su come gestire al meglio il materiale tecnico a disposizione e, dopo un solo anno all’ombra del Colosseo, decide di lasciar partire proprio Callegari, ritenuto evidentemente non necessario al progetto tecnico che sta per essere elaborato in vista della nuova stagione. Il mediano patavino viene perciò ceduto alla Sampierdarenese, nonostante in più di una occasione il suo nome sia stato fatto nell’elenco dei papabili per la nazionale di Vittorio Pozzo, che del resto gli sarà sempre preclusa.
In Liguria, Callegari trova la sua naturale dimensione, che non è quella di un fuoriclasse, ma di un ottimo giocatore capace di tenere il campo con grande disinvoltura, facendo legna, ma non disdegnando la giocata di fino. A Genova rimane per due stagioni, alternando campo e tribuna per poi essere ceduto alla Lucchese, dove trova altri “reietti” come Bruno Neri e Bruno Scher. Dopo un anno di Toscana, ritorna a Genova per indossare la maglia del Liguria, con la quale esprime il meglio di sé sino all’arrivo della guerra sul nostro territorio e il conseguente stop ai campionati.
Terminato il conflitto bellico, nel 1945 veste la maglia del Genoa che, sorpassando all’ultima giornata i rivali del Liguria, si aggiudicarono la Coppa Città di Genova che nei primi mesi di quell’anno sostituì il normale campionato a causa della guerra che stava sconvolgendo l’Europa in quel periodo. A Callegari e compagni furono date in premio 20.000 lire dal futuro presidente rossoblù Antonio Lorenzo.
Poi “l’anarchico” passò all’Entella di Chiavari nel doppio ruolo di giocatore-allenatore. Quindi la panchina del Pontedecimo, ma nel 1954 la leucemia se lo portò via all’ospedale di Sampierdarena, proprio nel giorno del suo quarantatreesimo compleanno.