La Copa Libertadores de América è diventata una delle competizioni per club più prestigiose del pianeta, generando innumerevoli traguardi che hanno segnato la carriera di numerosi calciatori. Alcuni di loro, tuttavia, hanno storie di vita che superano le loro imprese sportive.
È il caso dell’attaccante uruguaiano Carlos Borges, entrato negli annali della competizione come autore del primo gol del torneo il 19 aprile 1960, giocando per il Peñarol contro il Jorge Wilstermann della Bolivia.
Lucho, come veniva soprannominato l’attaccante morto nel 2014 all’età di 88 anni, era già famoso non solo per i suoi successi con il club carbonero, ma anche per essersi distinto con la nazionale del suo Paese.
Quello che pochi sanno è che qualche anno dopo, Borges si travestì da eroe per salvare la vita di un bambino durante un naufragio che segnerà l’inizio della fine della sua carriera.
Nato il 14 gennaio 1932, Borges si è formato nelle giovanili del Peñarol, dove ha debuttato nel 1946 all’età di 14 anni, anche se si è affermato in prima squadra solo all’inizio degli anni ’50. Secondo le cronache dell’epoca era un attaccante sinistro acuto, abile e dotato di potenza da gol, che calciava bene con entrambi i piedi e sapeva giocare a destra quasi con la stessa naturalezza.
Il suo nome oltrepassò i confini durante la Coppa del Mondo del 1954 in Svizzera, quando segnò tre gol contro la Scozia nella vittoria per 7-0 nel turno di apertura.
“Lucho” Borges e il Peñarol
Lucho aggiunse un altro punto a favore alla sua statistica personale aprendo il conto contro l’Inghilterra nella vittoria per 4-2 dei quarti di finale, diventando l’ultimo uruguaiano a segnare quattro o più gol in una Coppa del Mondo finché Diego Forlán non lo superò con cinque reti in Sud Africa 2010.
Quella squadra, che comprendeva, tra gli altri, i suoi compagni carboneros Roque Máspoli, Obdulio Varela e Juan Hohberg, finì quarta in Svizzera, ma conteneva le basi della squadra che, dopo quattordici anni di siccità, vinse la Copa América nel 1956. Borges contribuì a questa impresa.
Nel 1958 fu, con 7 reti, il marcatore del Peñarol che vinse il primo dei cinque titoli consecutivi, quello del cosiddetto Quinquennio d’oro. Ma fu il successo del 1959 che gli permise di competere nell’inedito Campionato dei Campioni, nome con cui era conosciuta la prima edizione dell’attuale Copa Libertadores.
La prima partita si disputò allo stadio Centenario il 19 aprile 1960 davanti a circa 35.000 spettatori. Borges segna al 13′ il gol che passerà alla storia.
Così lo descrive il quotidiano della sera El Diario: “Hohberg avanza a centrocampo, effettuando un gran passaggio profondo per Cubilla. Davanti al portiere, l’esterno destro conclude, colpendo la palla in orizzontale. Borges raccoglie la ribattuta, tirando forte, la sfera di cuoio rimpalla su Rocabado, la riprende Borges che batte il portiere Rico”.
Pochi ricordano che quattro minuti dopo Borges segnò anche il raddoppio, forse perché quello stesso giorno Alberto Spencer segnò la quarta rete del 7-1 contro il Wilstermann. Lucho non rivedrà più il gol in tutta la competizione, che il club carbonero vinse battendo in finale l’Olimpia del Paraguay.
Borges si trasferì al Racing Club in Argentina alla fine del 1960, dopo aver perso la Coppa Intercontinentale con il Peñarol per mano del Real Madrid guidato da Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskás e Paco Gento. A La Academia fu una parte importante della squadra che vinse il titolo nel 1961, ma due anni dopo la sua vita cambiò per sempre.
Borges non avrebbe mai immaginato cosa gli sarebbe successo il 10 luglio 1963, quando a Montevideo si imbarcò sul piroscafo “Ciudad de Asunción” per attraversare il Río de la Plata fino a Buenos Aires. Alle tre del mattino Lucho avvertì un forte colpo che cominciò rapidamente a inclinare la nave.
“Alzati, stiamo affondando!” urlò al suo compagno di stanza. Giunti sul ponte, tutto era confusione, tranne un marinaio che chiedeva a tutti di mettersi dalla parte opposta rispetto all’inclinazione “per far dondolare la barca”.
Un’ora dopo arrivò il peggio: l’esplosione nella sala macchine. Nonostante la fitta nebbia, molti iniziarono a tuffarsi in acqua, cercando di aggrapparsi a qualsiasi cosa potesse servire da galleggiamento. Borges era uno di questi, aggrappato a una panchina per salvarsi. In quel momento, una donna gridò dalle fiamme: “Per favore, non lasciate morire mio figlio!”.
Senza saper nuotare, Borges si diresse verso la madre, che dopo aver lasciato cadere il bambino si perse nel fuoco. Il giocatore lo ha aiutato a raggiungere la panca, dove sono rimasti alla deriva per ore. Quasi congelati, i soccorsi arrivarono solo all’alba tramite una nave argentina.
Dopo aver ricevuto i primi soccorsi, il calciatore ha cercato il ragazzo, che era stato portato in altro luogo, e ha saputo che stava bene, assistendo al ricongiungimento con il padre. Sua madre è stata una dei quasi 70 morti nella tragedia, secondo dati non ufficiali, causata dal naufragio di un’altra nave.
Giunto in Argentina, Borges, da professionista quale era, andò ad allenarsi al Racing, contro il parere del medico. Dopo un po’ è svenuto ed è tornato in sé solo un paio di giorni dopo, dopodiché si è recato in Uruguay per la convalescenza.
Il trauma lo ha perseguitato per mesi e, anche se ha parlato raramente del naufragio, è tornato a giocare nel Platense, club della seconda divisione argentina, anche se non è mai stato più lo stesso. Borges si ritirò nel 1964 e morì nel 2014, ma la storia gli aveva già riservato un posto, sia nel calcio che nella vita.
Mario Bocchio