L’Uruguay. Due fratelli, per entrambi il destino in Italia. Stiamo parlando di Víctor e Rolando Tortora. Oriundi.
Víctor nasce nel 1914 e calcisticamente cresce nel Defensor di Montevideo. Il Palermo lo tessera approfittando della normativa sugli oriundi. È un mediano bravo tecnicamente, un po’ lento, ma in grado di rimediare con mestiere e furbizia a questo limite. Eccelle in fase di costruzione, dove può sfruttare la scuola in cui è cresciuto, meno in fase di interdizione, ed il suo rendimento, nel complesso, è sempre all’altezza. Dopo un biennio in Sicilia, si sposta a Venezia, dove può dare il meglio di sè in una squadra in forte ascesa. Sono gli anni di Loik e Mazzola e lui si mette al servizio dei due fuoriclasse, in procinto di trasferirsi al Torino. Il Venezia aveva già apprezzato le doti di un altro uruguaiano, Juán Agostino Alberti, noto anche come Giovanni, che forse mise una buona parola in favore del suo connazionale.
Poi arriva la guerra e lui si tiene in allenamento giocando in laguna, in attesa del ritorno alla normalità. E quando ciò accade, lui lo fa col suo vecchio Palermo, appena riammesso in serie A. Ormai, però, l’età comincia a segnare vistosamente il suo gioco. Ha bisogno di pause sempre più prolungate e la bravura tecnica non basta più a mascherare i segni del declino. Ancora una stagione a Venezia, e poi decide di lasciare l’attività e diventa allenatore. Oltre che a Venezia, a Modena e San Donà.
Anche Rolando, classe 1912, muove i suoi primi passi dietro un pallone nella Violeta. In Uruguay si mette in evidenza come un buon mediano. Arriva anche lui al Venezia nel 1939, ma trova una concorrenza di grande livello: basti pensare che anche un certo Valentino Mazzola, in quella stagione, deve accontentarsi di giocare solo sei partite. Lui viene provato un paio di volte, ma dimostra di essere molto lento.
Rolando Tortora
La tecnica è di buon livello e non potrebbe essere altrimenti, vista la scuola, ma gli manca l’estro e le capacità motorie sono abbastanza ridotte in un’epoca in cui prevalgono gli interni “sgobboni”.
Al termina della stagione, il presidente Arnaldo Bennati tira le somme e decide che può anche sbolognarlo al Savoia, in Terza serie, ove trova maggiore occasione di impiego e dimostra di non essere proprio un brocco. Nell’estate del 1942, passa al Baratta, a Battipaglia, ma ormai il rombo del cannone si fa sempre più vicino. Ancora pochi mesi e arriva la guerra sul suolo italico. Di lui si perdono le tracce.
Mario Bocchio