Uomo in campo e fuori
Nov 21, 2024

Gian Pietro Tagliaferri detto Pepo, era nato a Livorno il 20 luglio 1959. Ha giocato in Serie A nelle fila di Bologna, Avellino e Udinese (125 presenze e 7 reti complessive in massima serie) oltre che in Serie B con la SPAL, l’Udinese e il Taranto (120 presenze e 3 reti in cadetteria) ed in Serie C con il Livorno, dove era cresciuto calcisticamente.

Tagliaferri nel Bologna, sulle figurine “Panini”

Ruolo centrocampista, è stato capitano dell’Avellino negli anni della Serie A. Il suo gol segnato nel corso del campionato 1983-‘84 durante la partita Avellino-Roma all’ultimo secondo regalò il pareggio ai biancoverdi e fece perdere lo scudetto ai giallorossi.

Il 21 novembre 2006 un destino atroce gli si accanisce contro. Stava correndo a casa, a Livorno: aveva lasciato la lezione del corso di allenatore, aveva imboccato con il cuore in gola l’autostrada per sincerarsi che uno dei suoi figli non si fosse fatto niente di grave, aveva infatti ricevuto una telefonata da casa. Ma sullo svincolo della A12 per immettersi in direzione della città labronica, ha invaso la carreggiata opposta, finendo con la sua Jaguar prima contro una Range Rover, poi contro un’Alfa 147. Così è morto Tagliaferri, a 47 anni.

Nonostante la sua avviata attività di imprenditore del settore delle profumerie, la passione del calcio gli era rimasta nel sangue; aveva così deciso di prendere il “pezzo di carta”, il primo passo per poter avere una panchina tutta sua.

Nella “rosa” dell’Avellino 1981-’82: Tagliaferri è il secondo, da sinistra, seduto a terra

Giocatore dai polmoni d’acciaio e dai piedi buoni, si impose per quella figura da leader che non poteva non portarlo ad indossare la fascia di capitano della squadra, dopo l’addio al calcio di Salvatore Di Somma.

In un undici avellinese nella stagione 1982-’83

Un’eredità pesante quella che si trovò a dover raccogliere Tagliaferri: una fascia mostrata con orgoglio e grande personalità. Come ha sempre ricordato nelle varie interviste prima della prematura scomparsa.

Ricordi avellinesi

“Mi promossero capitano probabilmente per il mio carattere. All’epoca mi capitò spesso di intervenire in manifestazioni pubbliche al fianco dei grossi personaggi politici, quali l’ex presidente del Consiglio, De Mita, o l’ex presidente del Senato, Mancino. Provate a immaginare quale potesse essere la mia emozione in quelle occasioni”.

Dalla sua casa di Livorno, l’indimenticato centrocampista dell’Avellino ha sempre ricordato emozionato i suoi primi passi in maglia biancoverde.

In tackle sullo juventino Boniek

“Arrivai ad Avellino nel 1981, in una città diroccata dal terremoto che c’era stato qualche mese prima. A livello professionale ho vissuto quattro anni intensi, ma anche dal punto di vista umano la mia esperienza è stata assolutamente positiva. Eravamo un gruppo di giovani emergenti, venivamo tutti dalla serie B o comunque da squadre di provincia.

Tagliaferri nella SPAL e nel Taranto

Però lì, ad Avellino, c’era un’atmosfera unica, direi anche esaltante: sapevamo che dovevamo pedalare per dimostrare di non essere inferiori a nessuno. Chiaramente eravamo consapevoli che, tecnicamente, non potevamo competere con i grandi campioni delle altre squadre, alcuni dei quali da lì a qualche mese avrebbero vinto il campionato del mondo in Spagna. Eppure, con la grinta ed il carattere spesso riuscivamo a metter sotto anche i più quotati avversari”.

Sempre nell’Avellino, a guardia di Maradona

Anche per il talentuoso Tagliaferri, quella irpina rappresentò un’importante tappa nella sua carriera di calciatore. Era un calcio con altri valori, sia tecnici che sentimentali, che sapeva raccontare storie umane che si fondevano sia con l’ambiente circostante che con l’aspetto meramente ludico del gioco del calcio.

Nell’Udinese

“Avellino per me rappresentò un’importante opportunità. Venivo dal Bologna, che in quegli anni non è che vivesse un gran periodo. Per chi riusciva ad arrivare a giocare in A il problema era rimanerci. Questa nostra voglia si sposava perfettamente con lo spirito della città ed i tifosi hanno sempre compreso il nostro attaccamento alla maglia. Non so se oggi accade la stessa cosa, e non mi riferisco ovviamente alla piazza di Avellino, ma al calcio in generale. Dubito che esperienze come quella che abbiamo vissuto noi vent’anni fa possano ripetersi”.

Poco spettacolare nelle giocate ma redditizio come pochi, Tagliaferri, da buon condottiero, sapeva prender per mano la squadra nei momenti di difficoltà, magari scrivendo il suo nome nel tabellino dei marcatori con conclusioni tanto potenti quanto precise

“Per il mio tipo di gioco non ho mai avuto picchi elevati in termini di gol realizzati. La mia dote principale, probabilmente, era la continuità di rendimento, sempre costante. Certo, qualche gol l’ho anche realizzato: ne ricordo uno alla Roma, all’ultima giornata, che a loro costò lo scudetto, e poi quelli segnati a Marassi, sia contro il Genoa che contro la Samp: in quegli anni per le genovesi eravamo un vero e proprio spauracchio, ogni qual volta le incontravamo le battevamo puntualmente”.

Dei numerosi aneddoti vissuti in quattro stagioni, quelli che gli sono sempre tornati a mente sono tutti legati ai rapporti umani nati in Irpinia. Dalle serate trascorse con gli amici di allora, Limido, Vignola, Vailati e Rossi che spesso non andavano giù al presidente Sibilia, alle sfuriate di quest’ultimo.

“Era un personaggio unico, un vero padre-padrone. Era capace di trattarti male e dopo appena dieci minuti di portarti al bar. C’è un episodio che ricordo sempre con piacere: avevo avuto un incidente con la mia automobile, cui ero molto legato. Allora per avere una macchina ci volevano settimane, se non mesi. Sibilia pretese che mi recassi, il giorno dopo l’incidente, in concessionaria con lui e fece di tutto per farmi recapitare l’auto in ventiquattr’ore. Sono gesti, questi, che ti fanno capire l’umanità e l’affetto delle persone”.

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