Altro giro, altra corsa. Il treno dei ricordi non conosce soste e si ferma sempre al posto giusto ovvero nei cuori dei tantissimi tifosi irpini. In molti obiettano.
Guai a parlare dei tempi che furono, l’Avellino della massima serie è solo un ricordo ma riviverlo a volte fa bene al cuore. Immaginiamo, solo per un attimo, di poter leggere negli occhi dei tifosi che hanno avuto questa fortuna, ci troveremo l’orgoglio di chi c’era, di chi ha vissuto quegli anni indimenticabili. C’era un capitano, un solo capitano. Enorme, un gigante buono. Ricordo che ebbi un certo timore a chiedergli l’autografo, avevo solo tredici anni, lui era un mito, il capitano di tutti noi. Michele Pisani ha intervistato Di Somma proprio sul periodo avellinese. Conserva, gelosamente, tra i suoi ricordi la prima volta che lo vide in ritiro a Solofra nel primo anno di massima serie. Salvatore Di Somma è una bandiera, di quelle vere. Un giocatore simbolo dell’Avellino e grazie anche a Roberto Galbiati ma questo lo scopriremo più tardi. Sono trascorsi quasi ventiquattro anni.
Il tempo non ha corrugato il volto del gladiatore di Castellammare di Stabia. Disponibile come sempre, innamorato come la prima volta dei colori biancoverdi. Al telefono parla di calcio sempre volentieri ma quando si argomenta dell’Avellino la cosa si fa seria, il suo timbro di voce cambia improvvisamente ed i ricordi affiorano, puntali, alla sua mente. “La militanza in biancoverde è stata e rimane la parte più importante della mia carriera di calciatore”.
Mister a distanza di anni ha qualche rimpianto ? “Uno solo ed anche importante almeno per il sottoscritto. Da calciatore non ho nulla da rimproverarmi, ma come allenatore ho vissuto due stagioni sulla panchina senza mai avere la possibilità di portare a termine il mio compito e questo fatto mi lascia un enorme vuoto dentro”. Stenterete a crederci ma se noi abbiamo il nostro capitano lo dobbiamo in parte a Roberto Galbiati, professione calciatore, segno particolare libero.
Correva l’anno 1977 e Di Somma giocava nel Pescara, la squadra vinse il campionato di cadetteria, la dirigenza decise di puntare sul giovane Galbiati e di lasciar partire Di Somma per Avellino. “Poco male in quanto vinsi il campionato al primo tentativo in biancoverde. Una squadra composta da ragazzi eccezionali. C’erano calciatori del calibro di Piotti, Croci, Reali, Montesi, Magnini, Boscolo, Chiarenza, i fratelli Piga e tanti altri. Ricordo la gioia dopo la vittoria a Genova con la Sampdoria. Il gol di Piga ci scaraventò in paradiso”.
Come mai Avellino e l’Avellino non vivono più questi momenti cosi importanti? “Il calcio è cambiato e non basta il calore del pubblico. Ci vogliono sempre più soldi. Sponsor milionari alle spalle, di questo passo le piccole realtà saranno sempre più relegate al ruolo di comprimarie del calcio”. Dieci anni di massima serie per i Lupi eppure il dramma della retrocessione Di Somma lo ha vissuto fuori dal campo. “È cosi. Ero dirigente accompagnatore. Ricordo la gara di Milano con l’Inter, la traversa di Alessando Bertoni e la conclusione fuori da buona posizione di Biagio Grasso”. Di sicuro per tutti gli avellinesi fu uno dei momenti più brutti della storia del sodalizio biancoverde. “Una stagione balorda, retrocedevano solo due squadre e toccò a noi ma con un pizzico di fortuna ci saremmo potuti salvare ma è andata cosi, pazienza”. Una carriera la sua con poche squadre, una volta si amava di più la maglia ? “Ho giocato nella squadra della mia città poi nel Lecce, il Pescare e l’Avellino. Prima non c’erano tutti questi soldi ed il giocatore difficilmente cambiava casacca. Con questo non indento affermare che adesso è peggio, ma di certo ai miei tempi era diverso”.
In conclusione cosa si sente di dire ai tifosi dell’Avellino, quelli della nuova generazione. “Di stare sempre vicino alla squadra ed a questi colori. L’Avellino è una fede, una grande passione. Fortunato è chi può sostenere questi colori ma ancora più fortunato è chi come me ha potuto indossarli per tanto tempo”.