Il Castel di Sangro è stato quell’ autentica matricola del campionato di C1, che nella stagione 1995-’96 arrivò a giocarsi lo spareggio promozione per la B contro l’Ascoli. La storia nasce da lontano, molto lontano. Da una di quelle classiche coincidenze che bombardano la vita di ogni uomo. Parafrasando uno dei passi di Milan Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, si potrebbe tranquillamente parlare di incontri fortuiti tra le persone e gli avvenimenti nei quali gli esseri umani, spinti dal senso della bellezza, trasformano un avvenimento casuale in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della loro vita.
E dire che solo due anni prima Osvaldo Jaconi, il deus ex machina di quel fantastico sogno, non immagina neanche lontanamente che una serie di avvenimenti fortuiti lo porteranno sulla panchina della squadra abruzzese. Il tecnico di Mandello del Lario, ma marchigiano di adozione, è un allenatore verace come solo in certe zone del Centro Italia si può essere. E’ un uomo che bada al sodo e che, negli anni trascorsi tra i vari campi di categoria, ha fatto del pragmatismo un vero e proprio credo. Una filosofia che gli ha portato in dote ben 4 promozioni, l’ultima delle quali con il Leonzio. Per questo motivo, l’eclettico imprenditore e presidente Gabriele Gravina e suo zio Pietro Rezza (Don Pierino) lo vogliono a tutti i costi sulla panchina del Castel di Sangro. Jaconi però gentilmente rifiuta, preferendo accasarsi al più quotato Atletico Catania.
Una formazione del Castel di Sangro nella stagione 1996-‘97. Da sinistra, in piedi: Pierluigi Prete, Massimo Lotti, D. Cei, Claudio Bonomi, Gionatha Spinesi, Andrea Pistella; accosciati: Guido Di Fabio, Roberto Alberti Mazzaferro, Tonino Martino, F. Rimedio, Luca D’Angelo.
E’ incredibile come una squadra di un paesino di 6000 anime, in provincia di L’Aquila, il cui stadio (il Teofilo Patini) ha per giunta più posti che abitanti, sia arrivato ai piedi del calcio che conta. La sfida della C1 appare a questo punto uno scoglio assai più arduo, e l’obiettivo dichiarato dalla società è la permanenza nella categoria. Gravina intanto, con il suo fare vulcanico, cerca di soddisfare come può le richieste di Jaconi. Viene puntellata la difesa con gli acquisti di Roberto Mazzaferro, Galli, D’Angelo e del portiere Spinosa. In uscita, vengono ceduti il protagonista della promozione Colonnello e la giovane promessa Bombardini, rispettivamente al Pescara e al Lanciano. Il Castel di Sangro comunque, mercato o non mercato, deve onorare la categoria; se non con la qualità e la tecnica, almeno con la grinta ed il coraggio.
All’inizio del ritiro preparatorio prestagionale, Jaconi ha intenzione di motivare il gruppo con una sorpresa. E’ consapevole che la squadra necessiti di un messaggio che veicoli la voglia di crederci, di volare oltre le possibilità umane. Fa trovare all’interno dello spogliatoio, su una di quelle lavagnette sulle quali i mister scarabocchiano usualmente schemi il più delle volte incomprensibili, una frase che recita più o meno così: “Secondo le leggi della fisica, il calabrone non potrebbe volare per via della forma e del peso, in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e perciò continua a volare”.
E’ di Igor’ Ivanovič Sikorskij, pioniere ucraino e business man dell’aviazione del secolo scorso, ma non importa: è la miccia giusta per accendere l’ardore dei suoi ragazzi. Il calabrone che per natura dovrebbe essere prigioniero della gravità, ma che riesce comunque a volare sbattendo 10 volte più velocemente le ali rispetto agli altri insetti, è la metafora di una missione, di un sogno, di un miracolo. Non è forse il superamento del confine tra possibile e impossibile, a rendere la vita di un uomo veramente degna di essere vissuta? Proprio come il calabrone, il Castel di Sangro deve correre più velocemente delle altre squadre, fino a volare. Volare per sognare: Jaconi guarda ad uno ad uno quel manipolo di uomini, ed in quel momento comprende che il messaggio è arrivato dritto al cuore. Non spera più nell’impresa, ne è fermamente convinto.
Chi ha paura del vuoto, non arriverà in alto- De Iuliis, Fusco, Prete, Alberti, Cei, Altamura, Martino, Bonomi, Galli, Michelini, Verolino. Se Francesco Petrarca avesse avuto questi compagni di viaggio ne l’Ascesa a Monte Ventoso, la sua camminata simbolica verso Dio sarebbe stata certamente meno tormentata e faticosa. Jaconi, dal canto suo, di ascese ne ha scritte parecchie in carriera: Civitanovese, Fano, Leonzio e Castel di Sangro la stagione precedente. Per il campionato 1995-’96 però, meglio non farsi illusioni: pensare alla promozione, sarebbe sperare di scalare il K2 senza bombole d’ossigeno. Eppure già dalla partita di esordio con l’Ischia, terminata 0 a 0, si avverte un’aria strana, elettrica, di quelle che preannunciano grandi sorprese. E’ l’inizio di un filotto di risultati utili consecutivi, che stupisce gli addetti ai lavori. Merito del Mago, delle sue doti di attento giardiniere di uomini e di un terreno fatto di giocatori fertili.
La pagina dell’album Panini dedicato al “Miracolo Castel di Sangro”
Il Castello al giro di boa è sorprendentemente terzo in classifica a 29 punti, in piena zona playoff, e distante rispettivamente solo 2 e 4 punti dalle big Ascoli e Lecce. Quella che doveva essere una stagione vissuta con la preoccupazione di doversi salvare, si trasforma piano piano in un sogno. Ciò che colpisce della formazione sangrina è la solidità difensiva: un autentico muro difensivo, composto da 5 elementi, in cui spiccano Pietro Fusco, reinventato da Jaconi difensore invalicabile – da attaccante che non vedeva la porta neanche a pagarlo – il capitano Davide Cei e l’arcigno Pierluigi Prete. Ma anche il centrocampo non è da meno: il faro è Roberto Alberti Mazzaferro, che è coadiuvato brillantemente dalla coppia di mediani Bonom-Martino. Il primo è l’idolo della curva, celebre anche per la sua capigliatura alla Gesù con la chitarra; il secondo è soprannominato affettuosamente “Pecora Matta”, per la sua esuberanza dentro e fuori dal campo. La coppia d’attacco Galli-Verolino è poi il classico tandem offensivo dai pochi gol, ma tutto corsa e sostanza.
Il girone di ritorno procede sulla falsariga dell’andata. Il Castello conferma quanto espresso nella prima parte di campionato. I passaggi a vuoto si limitano a qualche sconfitta isolata, e a fine stagione i punti totali sono 56; secondo posto a soli due punti dalla corazzata Lecce, promosso direttamente in Serie B. La costanza di risultati, permette quindi alla squadra di Jaconi di mettere alle spalle anche le più quotate Nocerina e Ascoli. Playoff raggiunti, per la seconda volta in due anni. Questa volta ancor più belli, perché insperati. Ma non c’è tempo per festeggiare: la prima partita, la semifinale, è contro il temibile Gualdo Tadino, che nel rush finale ha conquistato la 5° ed ultima piazza valevole per gli spareggi promozione.
Gualdo-Castel di Sangro, semifinale di andata play off.
“Le jaconate del Mago” – Arrivati al momento clou della stagione, il Mago Jaconi decide di tirar fuori dal cilindro la sua bacchetta magica. Utilizzata per compiere le cosiddette Jaconate, veri e propri colpi di genio – non si sa se dettati anche dalla mano invisibile del destino – che spiazzano ogni volta di più tutti gli attori di quella fantastica cavalcata. La prima jaconata viene compiuta in semifinale contro il Gualdo Tadino. All’andata gli umbri hanno fatto valere il fattore campo, in un match scorbutico e dalle poche emozioni, sconfiggendo nel finale di gara il Castello, grazie al gol di Serra.
L’esodo dei tifosi sangrini a Gualdo.
Il sogno sembra d’un tratto evaporare come neve al sole, soprattutto per il fatto che al ritorno la partita non ne vuole proprio sapere di sbloccarsi. Fine della storia? Neanche per idea, visto che il destino è beffardo e quando decide di metterci lo zampino lo fa in modo sorprendente e diabolico. Ad un minuto dalla fine, senza alcuna logica apparente, Jaconi decide di sostituire il centrocampista Claudio Bonomi con un difensore, Salvatore D’Angelo. D’Angelo è uno che in carriera la porta avversaria l’ha vista di rado, figurarsi se l’idea è quella di trasformarlo in bomber della provvidenza. Dalla curva volano epiteti difficilmente ripetibili, anche perché Bonomi è per tutti il fulcro di quella squadra. Jaconi in quel frangente appare come un folle o, forse, semplicemente un visionario. Fatto sta che 7 secondi dopo l’inspiegabile sostituzione, da un cross disperato proveniente dall’out di destra, spunta tra le maglie bianche avversarie D’Angelo che, pur essendo un destro naturale, di collo sinistro insacca in rete. 1 a 0, cioè il risultato minimo sufficiente per accedere alla finale playoff, in virtù del miglior piazzamento in campionato. Al fischio finale è un tripudio generale, il Castello è in finale per giocarsi un sogno chiamato Serie B. Ancora una volta sono le Marche ad essere protagoniste nell’ascesa del Castel di Sangro: se l’anno prima era stato il Fano a rappresentare l’ultima tappa verso la promozione, ora è il favoritissimo Ascoli l’ostacolo conclusivo verso la gloria.
“Spinosa scaldati, entri tu!”- Si rivolge così Osvaldo Jaconi all’incredulo secondo portiere del Castel di Sangro Pietro Spinosa. No, non è possibile che il mister abbia chiamato proprio lui, che in campionato non ha giocato neanche un minuto. Spinosa rimane così seduto in panchina in attesa dei rigori. “Pietro per caso non mi hai sentito? Ho detto scaldati che devi entrare”. Si, il tecnico degli abruzzesi fa maledettamente sul serio. Anche se manca un solo minuto alla fine dei tempi supplementare, Jaconi ha in mente la seconda delle sue jaconate. Prima che l’arbitro fischi la fine e decreti che la contesa si risolva ai calci di rigore, il Mago ha deciso così: sarà Spinosa a vedersela con i rigoristi dell’Ascoli, ad avere in mano le sorti di un cammino lungo due anni.
Rewind al nastro del racconto. E’ il 22 giugno, ore 16,30 di un afoso sabato pomeriggio estivo. Teatro dell’incontro, lo Zaccheria di Foggia. La Tribuna Est è chiusa, giornalisti e dirigenti siedono in Tribuna Ovest mentre le due curve ospitano le due opposte tifoserie: i supporter marchigiani occupano per intero la Sud, mentre la parte centrale della Nord accoglie gli abruzzesi, in numero nettamente inferiore. La partita vede uno sterile predominio del Castel di Sangro, che controlla il centrocampo grazie a un ottimo Alberti e si rende pericoloso in avanti con le incursioni di Bonomi, Martino e Prete; di contro l’Ascoli non riesce a essere incisivo in attacco, pur potendo schierare come centravanti Walter Mirabelli, il capocannoniere di quella stagione con 22 reti all’attivo.
Si va ai supplementari, e l’emozione più grossa la regala ancora una volta Jaconi, quando al 119′ decide di effettuare la terza sostituzione a sua disposizione: a questo punto, un allenatore “normale” utilizzerebbe l’ultimo cambio per togliere un difensore e mettere un giocatore più tecnico, magari da impiegare nella serie finale dagli 11 metri. Invece no, il Mago stupisce tutti: fuori il numero 1, Roberto De Iuliis, dentro il secondo portiere, il 33enne Pietro Spinosa. De Iuliis non la prende bene, esce senza neppure salutare il compagno e urlando di tutto contro il suo allenatore. Spinosa ha sentito, si è scaldato ed è entrato in campo. 11 metri a separare lui e il Castello dalla Serie B.
La porta designata è quella sotto la Curva Nord, proprio davanti ai supporter sangrini. Entrambe le squadre mettono a segno i primi due tiri, poi Claudio Bonomi, rigorista degli abruzzesi, coglie la traversa; le trasformazioni si susseguono con Spinosa che non riesce a indovinare neppure la direzione dei tiri avversari. Ma al quarto tentativo dei bianconeri, giunge, provvidenziale l’errore di bomber ascolano Mirabelli, che calcia incredibilmente fuori. Sul punteggio di parità, le 2 squadre non sbagliano più. Gol, gol, gol, gol, gol, ad oltranza. Il quattordicesimo rigore va a batterlo per l’Ascoli, Manuel Milana. Può essere determinante, perché in caso di errore il Castello sarebbe promosso. E proprio sul rigore decisivo, Spinosa finalmente intuisce il lato di battuta e compie la parata più importante di tutta la sua carriera: si allunga alla sua destra e respinge la conclusione del centrocampista ascolano. Non fa in tempo ad alzare le braccia al cielo che viene raggiunto dagli altri calciatori abruzzesi; il primo ad abbracciarlo è proprio il portiere titolare De Iuliis che, calmato dai compagni di squadra, ha pregato insieme a loro durante la lotteria dei rigori.
Al 14′ rigore, l’errore di Milana. Il Castello è in Serie B!
Post Scriptum Castel di Sangro – Il Castel di Sangro la Serie B l’ha onorata come solo le squadre capaci di gettare il cuore oltre l’ostacolo sanno fare. Contro squadre di rango di Torino, Bari, Perugia, Palermo, Genoa ed altre che hanno fatto la storia del calcio italiano, il Castello è riuscito, nella stagione 96/97, ad accumulare 44 punti e a salvarsi con una giornata d’anticipo, grazie ad una vittoria sui cugini del Pescara. Testimone quasi per caso di quell’ennesima cavalcata trionfale è Joe McGinniss, scrittore americano che nel 1999 ha pubblicato il libro “The Miracle of Castel di Sangro”, che narra appunto le gesta della squadra sangrina in quell’annata. Protagonista solo due stagioni dopo di un altro miracolo, questa volta in Coppa (Italia), strozzato in gola agli ottavi da un rigore dubbio assegnato all’Inter, e poi trasformato da Djorkaeff.
Sul punteggio di 1 a 0 per il Castello, viene assegnato da Cesari un rigore molto dubbio all’Inter.
Castel di Sangro – Inter. Immaginarla oggi una partita del genere verrebbe da sorridere, visto che dal 2012 della società abruzzese non è rimasto più niente.
Fallita, cancellata e sostituita da altre società già scomparse, oggi Castel di Sangro è rappresentata da una squadra che gioca nell’ Eccellenza Molisana. Non è svanita però l’immagine di quella favola di provincia, e questo articolo nel suo piccolo ne è la dimostrazione. Perché non esiste oblio definitivo ai ricordi finché esiste memoria. Memoria del Miracolo al Castello!